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Bloody Sunday

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Bloody Sunday
Bloody Sunday, il giorno che gli inglesi non vogliono ricordare e gli irlandesi non possono dimenticare.
Domenica 30 gennaio 1972, la storia mai digerita da entrambe le parti.

Quella maledetta, sanguinosa domenica vide il sobborgo di Derry (Londonderry per i protestanti filo inglesi) invaso dall’esercito britannico, mentre sfilavano pacificamente manifestanti di una marcia organizzata dal Movimento per i diritti civili. Un battaglione di paracadutisti britannici aprì il fuoco sulla folla, colpendo 26 persone e uccidendone 14. L’episodio passò alla storia appunto come il “Bloody Sunday“, e scatenò la rivolta nazionalista contro il governo di Londra.

Dieci anni dopo, il ricordo ancora vivo di quella strage nella mente di Paul Hewson – che all’epoca del fatto aveva 11 anni e non si faceva ancora chiamare Bono Vox – dettò le parole di una canzone che rimarrà per sempre indelebilmente incisa nella storia della musica mondiale: Sunday Bloody Sunday.

Gli U2 hanno svolto, da sempre, un ruolo di punta nella ricerca della pace in Irlanda. E’ stato un grande e coraggioso sforzo per cambiare la mentalità e il cuore delle giovani generazioni.
Nei primissimi anni della loro attività, la band irlandese ha prodotto una serie di canzoni decisamente radicate nella tradizione, nelle ribellioni e nell’esperienza della loro terra.
This song is not a rebel song, this song is Sunday Bloody Sunday“.
Esordiva in questo modo Bono Vox negli anni ’80, prima di iniziare a cantare Sunday Bloody Sunday dal vivo.
Non era una canzone che incitava alla ribellione: era una canzone che doveva far riflettere. Tutti.

Il fatto è raccontato come fosse contemporaneo, visto che nei primi anni Ottanta la battaglia tra cattolici dell’Ira e lealisti protestanti non era per nulla terminata. Ma in realtà il fatto storico irlandese è simbolo di altri fatti di violenza contemporanei a quel 1983: le guerre in America Latina, i focolai d’odio in Estremo oriente, i morti in Palestina e nell’Africa centrale, la guerra Iran-Irak.

“Bottiglie rotte sotto i piedi dei bambini. Corpi sparsi attraverso la strada della morte. Ma non darò retta alla voce della battaglia. Ce la metterò tutta. Domenica, sanguinosa domenica. La battaglia è appena iniziata. Ci sono molti perdenti, ma dimmi chi ha vinto. La trincea è scavata nei nostri cuori. E madri, bambini, fratelli, sorelle lacerati. Domenica, sanguinosa domenica”.

How long, how long must we sing this song?“, recita il verso chiave del testo, “per quanto tempo ancora dovremo cantare questa canzone, prima di essere ascoltati? Per quanto tempo prima che le stragi si fermino? Per quanto tempo prima che i poteri forti aprano gli occhi, prima che la gente possa veramente esprimere liberamente le proprie opinioni? Perché stanotte… possiamo essere una cosa sola….Noi mangiamo e beviamo mentre loro domani moriranno.
La vera battaglia è appena iniziata, per ottenere la vittoria che Gesù ottenne”.

bloody-sundayQueste sono le domande che si pone un Bono che torna con la mente a quei giorni e che resta allibito da quanto male possa sprigionarsi da un piccolo gruppo di uomini nei confronti di altri uomini, irlandesi come loro, diversi solo per la confessione religiosa.

Bono teneva a non far perdere il valore della canzone, che vuole essere qualcosa di più di una canzone: un inno contro ogni forma di violenza, contro le disparità sociali e le ingiustizie. Sotto questo aspetto la composizione musicale, e in particolare i versi scritti dal cantante, diventano un’occasione per portare sì la testimonianza storica di quanto accaduto, ma soprattutto per dire a chiunque sia all’ascolto che questo tipo di atteggiamento è insostenibile se si vuole costruire un mondo migliore.

Il messaggio lasciato a suo tempo dalla band di Dublino purtroppo resta attuale anche alle situazioni di oggi, a circa 40 anni dalla domenica di sangue.
Neanche oggi, a più di trent’anni dalla sua pubblicazione, è possibile sapere per quanto tempo ancora dovremo tutti insieme cantare questa canzone, prima che episodi del genere smettano di verificarsi.

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