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Come facevamo ad annoiarci negli anni 80?

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negli anni 80

Alla fine non credo che gli anni 80 fossero migliori dei decenni precedenti o successivi. E neppure io lo ero. Quello che mi rende nostalgico e malinconico, l’ho capito scrivendo per questo blog, è che negli anni 80 avevo un sacco di tempo.

Tanto per cominciare ero uno studentello, a scuola non esisteva il tempo prolungato e a mezzogiorno e mezza ero a casa. Differenza abissale non solo con il me di oggi, ma anche con i bambini e ragazzi ch vanno a scuola oggi. Poi i miei genitori non avevano l’ossessione di occuparmi ogni secondo per il timore che mi annoiassi. Avevo un sacco di tempo per annoiarmi e credo che sia stata la mia fortuna. La noia mi obbligava a pensare, a ragionare, a creare, a sognare.

Questa tendenza mi pare si sia estinta. I genitori creano agende fittissime ai propri figli, che già tornano da scuola ad orari barbini. I bambini di oggi sono capacissimi di sognare, ne sono sicuro: solo che non ne hanno il tempo.

Ricordo interminabili pomeriggi invernali nella mia camera con le biglie, i birilli ed un cronometro. I giochi più superficiali mi stancavano subito, così li strutturavo sempre di più: i birilli si disponevano in figure sempre più complesse, creando slalom speciali, giganti e supergiganti, ogni biglia diventava un personaggio con una sua storia, felice o drammatica, sempre pronto a raccontarla commosso al giornalista che lo intervistava dopo una vittoria.

E fuori dalla stanza? Per quanto scarso, io desideravo giocare a calcio. Ci giocavo sul balcone con mio fratello che ancora non mi reggevo bene in piedi, ci giocavo in cortile tutti i giorni, tutte le estati in oratorio e tutti i sabati al campetto. Però c’era un problema: in età ‘pulcinabile’, erano gli albori degli anni 80, gli allenamenti di calcio erano il mercoledì alle 3: come il catechismo.

Oggi i genitori si riuniscono con le associazioni e chiedono gli spostamenti degli orari per far combaciare del tutto l’agenda dei loro piccoli manager, ma una volta questo era impensabile. Catechismo e basta.

Ma un giorno, con la mia bella camicia bianca, i miei jeans puliti e le Timberland marroni, uscii di casa e come potete immaginare feci una piccola variazione di percorso.
(Qui una parentesi è obbligatoria: a quei tempi era perfettamente normale che un bambino di 7 anni andasse in giro per il paese da solo).
Tornato a casa sporco di erba e terra dalla testa ai piedi, mi presi una cazziata epica; ma impressionati da tanta tenacia e tanto coraggio – non ero solito a disubbidire ai miei genitori – vinsi la mia battaglia e fui iscritto alla squadra del mio paese: l’AC Maslianico. Per avere quella possibilità avevo lottato duramente, e credo che la cosa mi aiutò a sopportare gli allenamenti sotto l’acqua e le gelide ‘panchine’ invernali.

logoPerché racconto queste storie?

Perché la mia scelta di come impiegare il tempo fu una scelta attiva, e soprattutto tutta mia. Fu figlia del tempo libero che avevo e del sogno che ne scaturì. Quel tempo non l’ho mai più avuto. Anche in questo momento: è uno dei periodi più felici della mia vita e sto litigando con quella meraviglia di mia figlia di 11 mesi, che sta picchiando sui tasti del mio pc con tutta la sua forza.

E sapete una cosa? Ha ragione lei, perché ho scelto di toglierle del tempo per dedicarlo ad altro. Oggi è sempre una questione di scelte, mentre a quei tempi avevo tempo per tutto quello che mi veniva in mente.

E comunque avevo promesso un post di Natale.

Questo lo è? Certo che sì! Ora vi spiego perché.

Per me il Natale era la pubblicità della Coca Cola, coi bambini che cantavano con le candele in mano.
Quella pubblicità mi dava gioia, serenità e pace; mi faceva sognare un mondo dove tutti i bambini di tutte le etnie e di tutte le religioni potessero cantare insieme. Vi è capitato di rivedere quella pubblicità ultimamente? Ok, è sempre bella, ma da esperto del settore quale millanto di essere per guadagnarmi da vivere, credo proprio che quella pubblicità non avesse niente di speciale.

Eppure mi commuoveva, perché lanciava un seme che andava ad attecchire sul terreno fertile della mia mente, concimata dal tempo che avevo avuto per renderla tale. Oggi il mondo è così frenetico che decine di messaggi molto più belli e profondi di quel banale spot non trovano il terreno adatto per attecchire e si disperdono.

Questo post quindi non è un inno agli anni 80, ma un inno al tempo che avevamo negli anni 80. Tempo che almeno a me ha permesso di annoiarmi, di imparare a sognare e di diventare quel che sono oggi. E la mia speranza, per questo Natale, è che torniamo a donare ai nostri figli un po’ di lentezza e un po’ di noia.

Quando saranno grandi ci ringrazieranno.

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