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Quando i Mondiali li vincevamo

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Mondiali

Tutto sembrava raggiungibile, bastava allungare la mano: vetrine scintillanti, supermercati pieni di cose mai viste, sorrisi, ricchi premi e cotillon.
Erano gli anni Ottanta, bellezza, e tu non potevi farci niente.
L’ultimo decennio felice delle nostre vite, ha scritto qualcuno.
Di sicuro il più rimpianto. Il campionato più bello del mondo.
Quella t-shirt di Madonna, “Italians do it better“.

Madonna

Il Pil che non si fermava più (anche il debito pubblico, ma pazienza).
A un certo punto, al mercato, t’imbattevi in casalinghe con borse da cui spuntavano sedani, carciofi e quotidiani economici.
E la mattina al bar non si parlava più di calcio: era tutto uno scambiarsi sorrisi e colpetti di gomito, commentando le prestazioni di questo o di quel titolo azionario.

Finì tutto un lunedì, nerissimo, il 19 ottobre del 1987: quel giorno Wall Street chiuse a -22%, trascinandosi dietro le Borse di tutto il mondo.
Erano anche i giorni di un misterioso acronimo, “Aids”.
E di uno spot dalla strana musica, corpi circondati da un alone violetto, la frase «più partner si cambiano più rischi si corrono», un uomo violettizzato che torna a casa dalla moglie, violettizzando pure lei.
Solo alla fine, l’immagine fugace di un oggettino mai passato prima di allora in tv. E queste parole: «Usare il preservativo nei rapporti sessuali è il mezzo più sicuro per difenderti dal contagio».
Troppo, per un ministro secondo il quale l’Aids lo prendeva solo chi se lo andava a cercare: povero Carlo Donat-Cattin, predicatore di castità quando i casi di Aids erano già migliaia, pietra tombale sugli spensierati ’80.

Lo spirito del decennio era però già stato cristallizzato, in appena 31 secondi: l’alba sul Duomo di Milano, colombi che volano, la metropolitana, il giovanissimo garzone di un bar nel mezzo del traffico cittadino (e nessuno a chiedersi: ma non dovrebbe essere a scuola?).
E poi una punk intenta a leggere, toh, il Sole 24 Ore, un’altra donna che scende da un taxi, biondissima.
Ancora gru e cantieri, le ballerine della Scala, una cena romantica, le pulizie notturne in una città che non dorme mai, come la New York delle mille luci. Infine ancora l’alba, a chiudere il cerchio, sulle note – circolari pure quelle – della “Birdland” dei Weather Report. E finalmente eccolo lì, zac!, con effetto erezione lampo: l’amaro Ramazzotti «di questa Milano da vivere, da sognare, da godere: di questa Milano da bere».

E a proposito di slogan, quello di Forattini lo ricordate? «È comodosa, è sciccosa, è risparmiosa, è scattosa». Saranno stati anche gli anni della Duna, ma dando a Cesare quel che è di Cesare (Romiti, ovvio) gli ’80 della Fiat sono soprattutto quelli della Uno, auto dell’anno nel 1984, presentata addirittura a Cape Canaveral, in voluta concomitanza con il lancio della nuova nave spaziale Challenger.
Peccato solo, pochi anni dopo, per quella Uno bianca dei fratelli Savi

E poi l’eterno schema Coppi versus Bartali: in politica (Craxi/De Mita, la “staffetta” a Palazzo Chigi), nel calcio (Platini/Maradona, ed era anche Nord versus Sud).
E in tv, con “Drive In” e “Quelli della notte”: da una parte le tette di Tini Cansino e dall’altra i pedalò del comunista Ferrini, di qua l’asta tosta di Greggio e di là il brodo primordiale del professor Pazzaglia, il tormentone “Has Has… Fidanken!” in prima serata e l’edonismo reaganiano del lookologo D’Agostino a notte fonda.

Anche qui era Milano contro Roma, Fininvest versus Rai: il benessere multivitaminico contro una certa mollezza mediterranea. E ammollante era anche ciò che a tavola esondava da ogni portata: la panna. Variamente abbinata ai tortellini (variante prosciutto o piselli), alle pennette (più vodka e salmone), ovviamente alla carne. Anni di panna, gli ’80. E di frutta che finiva nel risotto: alle fragole e champagne, al melone, all’ananas, quanto piaceva l’esotico.
Scoprivamo il kiwi, allora a mille lire l’uno.
E poi sua maestà la rucola, con grana a scaglie sulla tagliata, alternativa salutista al filettone sbrodoloso quando la colesterolofobia era estranea agli italiani.
Che impazzivano invece per crespelle affogate in oceani di besciamella, vitelli stratonnati, timballi con dentro tutto.
E cocktail di gamberetti: se ne fece una strage, in quel decennio.
A fine cena poi, un bell’amaro.
Quale?
E c’è bisogno di chiederlo?

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