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Tre cuori in affitto

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Tre cuori in affitto

Oggi il Grande Fratello e X-Factor sono pensati fin dall’inizio per il pubblico internazionale, come format da declinare a tutte le latitudini (bastano 5 minuti su youtube per scoprire a che punto sia ormai omologata l’umanità).

Negli anni Ottanta, invece, il fenomeno era molto più blando e si limitava allo scambio, di solito tra Stati Uniti e Inghilterra, di qualche serie tv particolarmente fortunata, che permetteva ancora di apprezzare qualche differenza tra le due sponde dell’Atlantico. Davvero altri tempi, se vent’anni più tardi Daniele Luttazzi ha potuto costruire metà della sua carriera riprendendo battute di umoristi americani.

Nonostante parlassero la stessa lingua, invece, all’epoca inglesi e americani avevano un concetto di umorismo così diverso che ci fu bisogno di replicare “Un uomo in casa” (UK) facendolo diventare “Tre cuori in affitto” (USA), mentre lo spin-off “George e Mildred” (UK) divenne “I Roper” (USA). Queste quattro serie TV sono, perciò, inestricabilmente legate (tanto è vero che per anni non ho messo a fuoco le differenze), anche se la differenza di cultura tra di loro ha avuto una specie di riflesso anche in Italia, visto che le serie inglesi furono almeno inizialmente trasmesse dalla Rai, mentre quelle americane esclusivamente sulle reti Finivest.

L’idea di base è semplicissima: un appartamento misto, con due ragazze e un ragazzo che si adattano a vivere insieme per dividere le spese. Oggi è la norma – non solo tra gli studenti – e il cardine dell’80% dei reality (dal GF all’Isola dei Famosi), ma all’epoca l’idea era addirittura rivoluzionaria e poteva essere concepibile e praticabile solo nei Paesi anglosassoni, da sempre all’avanguardia nei costumi sociali e nei modi di perseguire l’infelicità umana.

Il motore di tutto è insomma il fatto che gli anziani e tradizionalisti padroni di casa, in particolare il burbero Stanley / George Roper, non vedano di buon occhio la situazione immaginandosi ogni sorta di dissolutezza nell’appartamento del piano di sotto, e così per tranquillizzare il padrone di casa i ragazzi si inventano la storia che Robin Tripp / Jack Tripper Jack è gay.
Jack in realtà è uno studente di cucina piuttosto farfallone, con scarso successo fuori dalle mura di casa ma che non disdegnerebbe qualche breve avventura con le sue coinquiline, la bruna e decisa Chrissy / Janet e la bionda e svanita Jo / Chrissy (ma perché avranno voluto rovesciare i nomi?); nella serie originale, addirittura, Robin ci prova quasi esclusivamente con Chrissy e Jo.

Con queste premesse, la dinamica interna tra i tre ragazzi e quella tra loro i due padroni di casa seguono in modo quasi automatico, e funzionano in effetti così bene che la trasposizione ha soprattutto adattato il contesto ai gusti del pubblico: la Londra dei bus a due piani e le mire di inserimento nell’alta società di Mildred non dicevano un granché alla pragmatica middle class americana, e la varietà di situazioni della sitcom a stelle e strisce (172 episodi contro i 39 dell’originale) è semplicemente inarrivabile.

In Italia, stranamente, a essere popolari furono soprattutto lo spin-off inglese George e Mildred e la versione americana della serie originale, Tre cuori in affitto.
George e Mildred probabilmente perché arrivò per primo: aveva tempi tra una battuta e l’altra che oggi sembrerebbero geologici, ma anche il traino della sigla dei Gin e Tonic che non avrebbe sfigurato a Sanremo (qualunque cosa questo possa voler dire) e poteva contare su un affiatamento memorabile tra i protagonisti.

Tre cuori in affitto perché era semplicemente stupenda: leggera, frizzante, adorabile anche quando era prevedibile. I doppi sensi si sprecavano, ma la volgarità era bandita come lo era da tutto il decennio: trash finché si vuole, ma ancora puritano, e al culmine dell’incazzatura Jack poteva al massimo chiamare il padrone di casa “il signor Romper”, ma senza farsi sentire.

Chissà perché, a giudicare dai lineamenti e dall’abbigliamento di tutti ero convinto che la serie fosse olandese.
Ma a prescindere dalla nazionalità, come tutti volevo essere Jack e come tutti avevo un debole per la bionda Chrissy, una bambolona onesta e timorata di Dio ma con un corpo da svenimento. Nella serie inglese, oltre a essere meno bella, era soprattutto in cerca di un riccone da sposare per farsi mantenere: anni Ottanta o no, certe cose non cambiano mai.

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