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Come facevamo a rivolgerci all’arbitro

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arbitro

Ogni giorno imparo qualcosa di nuovo. A volte scopro con grande ritardo cose che tutti sanno tranne me – e mi sorprendo pure. Quelli sono i momenti in cui mi rendo conto di essere vecchio.

Venerdì è risuccesso.

Voi lo sapete come le nuove generazioni si rivolgono all’arbitro durante una partita di calcio? Certo che lo sapete, lo chiamano ‘DIRE’.

Un passone indietro. Una delle poche cose che dagli anni 80 ad oggi sono rimaste immutate nella mia vita è il calcio. Da bambino ho fatto tutta la trafila nelle giovanili della squadra del mio paese. Quando mi sono reso conto di essere troppo scarso per giocare in prima squadra, invece di frignare o mollare ho fondato una squadra del CSI con un gruppetto di amici scarsi quanto me.
Per chi non lo sapesse, c’è la FIGC e c’è il CSI. Storicamente nel CSI giocano quelli scarsi oppure i vecchietti che, dopo una luminosa carriera in categoria, non hanno più le ginocchia per sostenere gli allenamenti e soprattutto hanno a casa una moglie e dei figli che reclamano la loro presenza durante il week-end.
O almeno, era così negli anni 80 e 90.

La mia squadra di calcio c’è ancora, si chiama Nadir e si fonda ancora, incredibilmente, sullo zoccolo duro di allora. E’ la nostra risposta disperata all’avanzare dell’età. Se il CSI è la federazione più ‘scarsa’ del panorama calcistico italiano, la Categoria C del Calcio a 7 dove militiamo noi rappresenta il fondale. Al di sotto c’è solo il calcetto del mercoledì sera, che tra l’altro non di rado regala spunti tecnici superiori ai nostri.

Oggi è tutto cambiato e la partita di venerdì scorso ne è un esempio evidente. La squadra avversaria ha schierato due giocatori nati nel 2001 e uno del 2000: 16 e 17 anni. I ragazzini non hanno voglia di mettersi in gioco e di fare fatica, quindi invece di giocare in FIGC, vengono a rompere la scatole a noi vecchietti.

E parlano. Parlano tantissimo. “DIRE!!!” – “DIRE hai visto?” – “Cosa fischi DIRE!” – “DIRE l’ha toccata il PORTIE!”. E bestemmie come se piovesse. Il DIRE è l’arbitro, ovvio. Ma noi non lo sapevamo, e la cosa ci ha fatto ridere molto. Mia moglie ha un fratello molto più giovane di lei, ha 16 anni e gioca a calcio. Appena finita la partita gli ho scritto su Whatsapp:
“Scusa una curiosità, ma voi come vi rivolgete all’arbitro?”
“Lo chiamiamo DIRE, come dovremmo chiamarlo?”
“Non saprei, ARBITRO?”
“Ma vaaa!”

Ringrazio mio cognato, che è il sottile filo che ancora mi collega al mondo dei giovani.

Negli ultimi anni (ho sempre avuto la lingua lunga, e la lingua arriva dove le gambe non riescono) mi rivolgo all’arbitro chiamandolo ‘ARBITRO’. Lo faccio anche perché è facile che l’arbitro sia più giovane di me. Qualche anno fa, diciamo negli anni 90 e 2000, lo chiamavo ‘SIGNOR ARBITRO’. Un gesto quasi di rispetto, e in più ho scoperto sul campo che se esordisci con ‘Signor Arbitro’ successivamente puoi dire più o meno quello che ti pare.

Negli anni 80 era più semplice: all’arbitro non ti rivolgevi, a meno che fossi il capitano. Si giocava e si faceva silenzio. Se provavi a protestare venivi ammonito, ti prendevi la cazziata dell’allenatore, del presidente e poi, se tuo padre era sugli spalti, dovevi sentire pure lui. Quando giocavo nel Maslianico il presidente era Tommaso Mangiacapre, detto Tom. Lui seguiva tutte le partite, ma non in tribuna; si sedeva in macchina, una Fiat Regata grigia, e si piazzava dietro la porta del campo. Ogni tanto ti chiamava in sede ed erano dolori. Alla fine di una partita mi fece chiamare. Avevo giocato gli ultimi 5 minuti a partita ormai chiusa. Se non ricordo male non ero neppure riuscito a toccare un pallone. Mi tenne in sede almeno 10 minuti per parlarmi dell’etica e del rispetto. Ero entrato in campo con la maglia fuori dai pantaloncini.

Scrivo proprio nella settimana in cui l’Italia non si è qualificata ai Mondiali in Russia dopo aver perso lo spareggio con la Svezia. Da allora non si fa altro che puntare il dito contro questo o quell’altro dirigente. Qualcuno dà la colpa alla mancanza di strutture.
Chi vive nel calcio, anche se a bassi livelli come me, il cambiamento lo percepisce. A me spiace vedere sedicenni di talento che giocano nel CSI perché è più comodo. E si lamentano persino se il tuo campo sintetico non è ‘sintetico di ultima generazione’.
Negli anni 80 giocavamo sempre in strada o nel fango e la palla rimbalzava da tutte le parti. Maradona i numeri li faceva nel fango, oggi in quei campi Cristiano Ronaldo e Leo Messi non riuscirebbero neppure a stoppare il pallone.

Forse ha ragione chi si lamenta della mancanza delle strutture, ma se posso portare l’esempio del Maslianico, quello del Tom, dai campi di patate sono usciti Giovanni Migliorini e Claudio Gentile. Poco lontano, dai campi persino peggiori della Libertas è venuto fuori Gigi Meroni. Non sono le strutture che contano, ma i contesti.

Puoi avere il miglior campo del mondo, ma se i dirigenti sono delle teste di minchia non arrivi da nessuna parte. Negli anni 80, almeno dalle mie parti, succedeva una cosa che ad oggi sembra quasi impossibile: nel Maslianico giocavano gli abitanti di Maslianico, nel Cernobbio gli abitanti di Cernobbio e così via. Se eri bravo ti chiamavano nel Como e se eri bravo bravo passavi all’Inter o al Milan. Oggi le società, persino quelle di terza categoria, sono costruite per ambire a promozioni impossibili e sono gestite da aspiranti Moggi che raccattano giocatori da ogni parte fregandosene di capire se c’è un bambino promettente che gioca ai giardinetti di fianco al campo sportivo. Se ogni squadra di paese riuscisse a tirar fuori un campione ogni 10 anni selezionando e formando solo i giocatori del proprio territorio, credo che i problemi della Nazionale sarebbero risolti.

Come negli anni 80.

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