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Depeche Mode: quando i gusti cambiano

1898
Depeche Mode

Sui muri della mia scuola, di fianco al piazzalino in cemento destinato (in teoria) al basket, campeggiavano due sole, enormi scritte: “DEPECHE MODE” e “BRIANZA ALCOLICA”.

È vero che negli anni 80 sui muri si scriveva ancora poco, e di solito la prima cosa che passava per la testa; ma ammetto che quell’accostamento, essendo io né brianzolo né dedito all’alcol, mi alienò per il resto del decennio le simpatie per la band inglese. Che del resto agli inizi, come tutti quelli che si beccano l’etichetta “alternativo”, era una cosa un po’ da carbonari, da raver o gabber ante litteram.

A peggiorare le cose intervenne la delusione di scoprire che non era a loro che si doveva la celebre “Enola Gay” del 1980, come eravamo convinti io e la maggior parte dei miei coetanei. Nel 1980, del resto, i Depeche sono appena nati, anche se ci mettono ben poco a imbroccare il tormentone: il secondo estratto dall’album d’esordio è “Just Can’t Get Enough”, filastrocca elettro-pop che impazza nel 1981. Il successo mette subito in crisi l’alchimia del gruppo: il tastierista Vince Clarke, l’autore di “Just Can’t Get Enough”, è convinto che il ferro del successo vada battuto caldo, insistendo con lo stesso stile. L’altro tastierista, l’irrequieto Martin Gore, vuole invece imprimere al gruppo una svolta alternativa. Il dissidio è insanabile, e Clarke se ne va, in ossequio al detto popolare che non devi avere due tastieristi in un pollaio.

Il mondo non lo sa, ma questo dissidio è un dissidio tra due fenomeni, le cui canzoni messe insieme venderanno qualcosa come 130 milioni di dischi.
Clarke fonda gli Yazoo e poi gli Erasure, mentre il resto dei Depeche Mode (Gore, Andrew Fletcher e il cantante Dave Gahan) assume un nuovo tastierista, Alan Wilder, e si mette al lavoro.

L’azzardo “alternative” di Gore paga, perché il biondino dai vestiti improbabili tira fuori, per tutto il decennio Ottanta, una perla dopo l’altra: “Everything Counts”, “Master And Servant”, “People Are People”, “Strangelove”, “Never Let Me Down Again” e diverse altre hit. I ragazzi hanno talento, e partendo dal synth pop spaziano presto alla new wave e al pop rock, con una estensione di temi e stati d’animo che né Clarke né nessun altro nel genere synth-pop avevano ancora raggiunto.

Credo sia per questo che, smaltita l’antipatia per la Brianza alcolica, iniziai a notare i Depeche Mode. Se la sfrontata allegria e la ritmica ossessiva della prima metà del decennio mi avevano lasciato tutto sommato indifferente, alla fine del 1988 VideoMusic iniziò a proporre un tardo un B-side di “Music for the Masses”, “Little 15”, sul quale aleggiava un’atmosfera tesa e cupa, che mi conquistò.

Mancava poco al termine del decennio e della fase più propriamente “pop” della band. Nel 1990 sarebbe arrivato “Violator” (1990), e bastarono i due singoli “Personal Jesus” e “Enjoy the Silence” a trasformare per sempre il panorama della musica elettronica: atmosfere ancora più rarefatte, testi densi di richiami religiosi, contaminazioni tra sintetizzatori e chitarre elettriche. “Violator”, una perla senza antenati, lanciò i Depeche Mode come la più grande band elettronica di tutti i tempi. Persino nel mio paesello della Bassa, venuto su a liscio e Madonna, il CD lo comprarono praticamente tutti, e il 45 giri di “Enjoy the Silence” si squagliò letteralmente in tutti i juke-box. Assurti al rango di rockstar globali, i Depeche riempivano gli stadi in tutto il mondo, altro che Brianza alcolica.

E riuscirono a resistere anche alla incredibile pressione di un successo del genere, tornando qualche anno dopo coi capelli lunghi e un disco ambiziosissimo (“Songs of Faith and Devotion”, ancora riferimenti spirituali), sempre bello ma meno dirompente di “Violator”. Di lì in poi fu un po’ un vivacchiare, senza tornare ai vertici delle classifiche ma tenendo alta la bandiera della qualità, e restando prodigiosamente simili a sé stessi nonostante gli eccessi di stravizi a cui un po’ tutti quanti, e specialmente Dave, indulgevano volentieri.

Tra un Greatest Hits e un concerto, una pausa di riflessione e un progetto parallelo e una reunion, i Depeche Mode sono rimasti un elemento imprescindibile del panorama musicale degli anni 80, ma anche capaci di raccogliere adunate oceaniche di giovani ancora intrigati dal loro suono inimitabile. E ancora capaci di mostrarsi all”altezza di “Violator”, ad esempio con “Wrong” del 2009. Il tocco non si perde.

Nel 2018 i Depeche Mode torneranno con un mega-tour per sostenere il loro ultimo album “Spirit”, e saranno due volte anche in Italia: a fine gennaio ad Assago (due tappe) e a fine luglio a Borgo San Martino, sulle colline delle Langhe. Dalla Brianza alcolica al Barolo: adesso sì che io e Dave andiamo d’accordo…

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