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I pastelli Fila Giotto

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Fila Giotto

“Come moltissimi altri, anch’io sono stato un bimbo italiano.
In quanto tali tutte le nostre infanzie, ma la mia in particolare, furono dominate a lungo dal profilo della pecora che sulle scatoline dei pastelli Giotto Fila guardava Giotto e Cimabue decisi a entrare nella storia dell’arte.
E’ dalla prima elementare che odio quella pecora, quel Giotto e quel Cimabue, ripetuti addirittura sul segnalibro alleg. in omagg.
Ma soprattutto è da allora che odio quei pastelli, così deboli, così corti, così pochi. La scatola da sei era infatti la regola, e quella da dodici serviva soltanto a sanzionare la distanza tra me, cinno proletario ancorché figlio di medico, e i compagni “ricchi”.

Ho inciso nel naso il loro odore legnoso e nel cervello la voglia di ricevere, all’inizio dell’anno scolastico, una scatolina nuova, col suo ossessionante segnalibro e le istruzioni sul come fare la punta, quell’inarrivabile punta perfetta da provarcisi a riprodurla solo coi temperini Fila e che lasciava una macchia colorata all’interno della linguetta di chiusura. L’eterno giallino della scatola, il celestino della gualdrappa da busone di Cimabue, che studia corrusco la schiena curva del giovanetto Giotto inginocchiato davanti a lui che gli sta proponendo una pecora, le sei macchiette delle punte… ecco cosa mi ha segnato.

Rifiutai sempre di nobilitare i miei disegni in classe coi pietosi pastelli Giotto, coi quali era impossibile riempire una campitura di più di tre cm quadrati senza farsi venire il gomito del tennista e sfondare il foglio del quaderno. Non ero matto. Il maestro si incazzava e toccava rifare tutto.

Poi arriva Andrea Pazienza e mi spiega come esistano favolosi pennarelli a punta larga, che non lasciano tracce di sovrapposizione perché a base forse alcool, che sono moltissimi, che si possono mescolare, che costano un casino, 4.500 lire, che sono americani, che si chiamano Pantone

La tecnologia yankee aveva sconfitto, per sempre e come sempre, l’autarchia italiana e la pecora di Giotto, ma è grazie a Pazienza che posso dire ‘Cimabue vafanculo’.”

tratto dal libro:
Filippo Scozzari, “Prima pagare poi ricordare”, Castelvecchi, 1997

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