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Il bullismo negli anni 80 tra riti di iniziazione e prove di coraggio

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Nei primi anni ’80 passavo le mie giornate a giocare in cortile.

Eravamo un gruppo numeroso di diverse età, caratterizzato da forme di leggero bullismo tra i più grandi e i più piccoli: a quei tempi era così ed era considerato normalissimo.

Oggi una cosa del genere non sarebbe mai ammessa, fortunatamente; anche se mi fa specie constatare come troppo spesso i piccoli non esitino a tenere atteggiamenti presuntuosi e irrispettosi verso i più grandi sentendosi intoccabili. Un po’ di rispetto in più non guasterebbe, no?

Una volta, se volevi farti accettare nel gruppo sapevi che dovevi ‘sucare’; ma una volta affiliato i grandi ti avrebbero protetto da tutto e da tutti. E la cosa strana è che i piccoli non vedevano l’ora di affrontare il sofferto percorso di affiliazione. I grandi erano i nostri eroi, i nostri modelli da seguire e imitare.

In che cosa consisteva questo percorso? La sua durata era variabile – a volte eterna – e le prove disparate. Se avevi un fratello o una sorella maggiore nel gruppo, era molto più semplice se non scontato essere accettato pagando un fio modesto.

Non era il mio caso. Io ne subii parecchie. Ve ne racconto alcune.

Una volta, avrò avuto 6 anni, mi misero in porta e mi bombardarono con il pallone di cuoio, non il Super Tele che usavo solitamente. Ricordo il famoso ‘tiro bomba’ di Max, che non era capace di giocare a pallone, ma era gigantesco e tirava di punta dopo interminabili rincorse. Non era richiesto che io parassi i tiri, ma quantomeno che non mi girassi e non scappassi.

Un’altra volta, presenti io e Stefano, un altro piccolo, organizzarono un incontro di boxe tra di noi a mani nude. Io non avrei mai picchiato nessuno e lui neppure, ma lo fecero sembrare un gioco e quindi ce le demmo di santa ragione.

La peggiore che abbia mai subito è stata una sera in cui dovetti stare ‘sotto’ a nascondino. Il cortile era molto grande e quindi, anche quando scoprivo i nascondigli, chi aveva 4-5 anni più di me mi superava di corsa e andava a liberare tutti. Credo che neppure i grandi si stessero divertendo troppo, ma mi toccava. Passarono le 10 di sera e mia mamma iniziò a chiamarmi, ma io non potevo mollare e andai avanti fino a tardi, perdendo sempre e prendendomi pure una cazziata epica.

Invece, quella che mi ricordo di più e che reputo anche la più creativa, fu la prova di coraggio. Andammo tutti a casa di un ragazzo e guardammo Phenomena di Dario Argento. Poi, insieme a due altri piccoli, fui chiuso in una cantina buia con, fuori dalla porta, uno stereo che suonava la colonna sonora. Ho ancora in testa il soprano che cantava il ritornello senza parole, era una specie di urlo del tipo “Aaaaaaaaaaaa a aaaaaaaaa a a aaaaaaaaaa a a aaaaaaaa”.

Però ricordo che una volta organizzarono una gara di skateboard/pattini sulla discesa della piazza e io ero stato scelto per fare il giudice di gara e sbandierare (con la bandiera dell’Inter) il traguardo. In piazza arrivò un gruppetto di facinorosi e iniziò a minacciarmi per i colori della mia bandiera. Due dei ragazzi più grandi arrivarono in mio soccorso e gli fecero capire che era meglio lasciarmi in pace. Non so se difesero più me o più la bandiera dell’Inter, ma quel giorno credetti che gli sforzi che avevo fatto erano stati premiati.

Forse è stupido, perché nessun bambino dovrebbe subire quei piccoli soprusi, ma ho come l’impressione che quegli sforzi abbiano aumentato il mio desiderio di appartenere a qualcosa e anche un po’ forgiato il mio carattere.

Io, col senno di poi, le subii tutte senza riuscire mai a essere completamente integrato nel gruppo, finché ai grandi il cortile iniziò ad andare stretto e il grande diventai io. Come se quello fosse l’unico modo per uscirne. Ma sebbene per anni mi sia svegliato di notte con l’impressione di sentire la colonna sonora di Phenomena, ancora oggi racconto quell’episodio col sorriso e con una punta di nostalgia.

Però, quando mi prendevano in giro per i miei capelli da bambina e per il mio difetto di pronuncia (la S di Jovanotti), ci stavo molto male. E quello non lo facevano solo i grandi, ma tutti coloro che volevano farmi notare che ero diverso da quella che consideravano la normalità. E se oggi, da adulto, considero le mie diversità un vanto, da bambino desideravo solo essere come gli altri per essere accettato.

Certo, ho usato il termine ‘bullismo’ in senso lato e forse impropriamente. Il bullismo vero, quello reiterato, violento fisicamente e psicologicamente, non ha scusanti e va condannato senza alcuna riserva.

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