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Il nome della rosa

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Il nome della rosa

Gli anni ’80 sono anche stati l’ultimo periodo in cui dall’Italia sono partite tendenze rivoluzionarie che si sono diffuse nel mondo. E’ stato un decennio fertile che ha regalato al mondo non solo i paninari e l’Italo Disco, ma anche punti di non ritorno come lo sbrago della politica e Il Nome della Rosa.

Oggi siamo abituati a vedere in vetta alle classifiche libri scritti da deejay, youtuber o pornodive, ma prima de Il nome della Rosa non era così. Le canzoni le cantavano i cantanti, nei film recitavano gli attori e i libri li scrivevano gli scrittori. Dopo Il Nome della Rosa, tutto è diventato possibile: Cicciolina in Parlamento, Wanna Marchi nella Top Ten e Fabio Volo perennemente in testa alla classifica dei libri più venduti.

Tutto questo casino, sembrerà strano, è colpa di Umberto Eco. Che ha deliberatamente deciso di scrivere un libro ostico, lungo e a tratti noiosissimo, per allontanare i lettori “impuri”. E invece è successo che i lettori hanno accettato la sfida e sono arrivati in fondo. O comunque a pagina 30. O comunque lo hanno comprato, facendo diventare Il Nome della Rosa il libro italiano più venduto di tutti i tempi (sì, anche più di Esco a fare due passi): 50 milioni di copie. Non si capisce come mai Umberto Eco non abbia assunto Marchionne come cameriere.

Non si capisce nemmeno come avesse fatto un barbuto professore piemontese, che tutto poteva sembrare tranne il professor Keating di L’attimo fuggente, a prendere badilate di erudizione accademica medievalista e trasformarle in un thriller come mai se ne erano visti prima. E chi lo sa. È una di quelle cose che possono succedere solo in Italia, ma che alla fine della fiera ha fatto nascere un nuovo genere letterario: il thriller storico, come con enorme sfoggio di fantasia è poi stato chiamato.

Il Nome della Rosa è stato una rivoluzione perché ha preso in contropiede tutti. In tutto il mondo. Nessuno avrebbe mai pensato di leggere dieci pagine di descrizione del portale di una chiesa o interi dialoghi di dispute dottrinali sull’immacolata concezione, ambientati in un gelido inverno sull’Appennino emiliano (andiamo, negli anni di Magnum P.I., Miami Vice e Simon&Simon?).

E invece, incredibilmente, funzionò. Senza Umberto Eco non avremmo avuto Ken Follett, Dan Brown e Valerio Massimo Manfredi. Senza Il Nome della Rosa, Il codice Da Vinci non avrebbe venduto 80 milioni di copie, e I Pilastri della Terra non sarebbe arrivato a 15 milioni. Ma senza Umberto Eco, non avremmo avuto nemmeno la grande mescolanza dei ruoli che oggi ha trasformato i magistrati in politici, uomini di spettacolo in politici, calciatori in politici, imprenditori in politici, cantanti in politici e chiunque in scrittore.

Poi dicono che Goldrake non piace più: per forza. Si trasforma in un automissile, confronto a questi, ormai fa ridere.
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