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Intervista a Enrico Valenti del Gruppo 80

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Enrico Valenti

Ciao Enrico e bentornato ne… glianni80!

Ti proponiamo un gioco che facciamo con tutti gli intervistati. Eccoti le chiavi della DeLorean: ora puoi tornare nel passato, in un anno a scelta della decade ottanta. Qual’è la prima cosa che fai?
“Torno a rifare un bellissimo viaggio in Grecia con la mia Vespa.
Sono più giovane di 35 anni, finalmente faccio quello che ho sempre voluto fare. Ho una mia società che sta crescendo, mille progetti e tanta, tanta energia. Certo, forse non farei alcune scelte avventate, però i colori dell’alba arrivando a Creta per poi cominciare il tour in moto sono un ricordo indelebile. Ci tornerei, subito.”

Tu devi molto agli anni 80 (e loro devono molto a te), cosa ti manca di quel periodo e cosa invece non ti piace?
“Naturalmente devo molto a quegli anni: se non ci fosse stata la nascita del nuovo mercato della telecomunicazione probabilmente il destino del Gruppo 80 sarebbe stato diverso.
Sembra scontato, forse banale, ma certamente mi manca l’entusiasmo di quel periodo, la sensazione di fare parte di una crescita… purtroppo con il senno di poi mi sono reso conto che gran parte di quell’entusiasmo era artificiale.
Ecco, ciò che mi amareggia è che in generale in Italia non si riesca a trovare un equilibrio, seppur fragile, che non si sappia contenere certe distorsioni che hanno ricadute così pesanti sulla vita sociale.”

Enrico Valenti e Kitty Perria
Enrico Valenti e Kitty Perria

In un mondo fermo al Muppet Show, siete stati i primi a introdurre i pupazzi non come semplice spalla dei conduttori, ma come vere star dei programmi.
“Abbiamo sempre avuto una sconfinata ammirazione per Jim Henson, il papà dei Muppet, e il suo straordinario gruppo di artisti.
Non li abbiamo mai vissuti come concorrenti, casomai come modelli.
Il fatto è che nel 1979, 80, 81, in Italia non li conosceva quasi nessuno. Perciò senza falsa modestia possiamo dire con certezza che l’Italia, per la grande e illustre tradizione di teatro popolare, e Milano per quanto riguarda l’animazione televisiva, hanno una rilevanza internazionale che non è seconda a nessuno.
A Milano si sono prodotte trasmissioni di grande qualità, pensiamo a Topo Gigio, la compagnia Di Maio, poi Velia e Tinin Mantegazza, fondatori del Teatro del Buratto dove io e Kitty ci incontrammo.
Un altro gruppo attivo fra i 60 e i 70 era quello di Giorgio Ferrari, e poi si producevano anche dei Caroselli. Per onore di cronaca anche L’Albero Azzurro fa parte di questa tradizione di tutto rispetto.
Kitty Perria, l’altra metà del Gruppo 80, ha praticamente lavorato con molte di queste compagnie prima di approdare in teatro, dove ci siamo conosciuti e dove è cominciata la nostra storia.”

Quali sono state le difficoltà per arrivare davanti a milioni di telespettatori?
“I nostri inizi sono stati caratterizzati da una sorta di continuità della tradizione del teatro su nero, con pupazzi di taglia piccola, come si era sempre fatto.
In quei primissimi anni, 1979/1980, abbiamo però avuto modo di camminare sulle nostre gambe e misurare le nostre capacità.
In occasione delle nostre primissime esperienze abbiamo conosciuto Marco Columbro e collaborato con grandi professionisti come Sante Calogero, per citarne uno.
La svolta che ha segnato il giro di boa per quanto riguarda lo stile nel fare i pupazzi, le loro dimensioni e il loro modo di essere in scena e di interagire con esseri umani, attori e presentatori (chi non ricorda il duo Augusto Martelli e Five ?) avvenne con l’arrivo di Canale 5.
Noi cominciammo a lavorare in Fininvest una settimana dopo che l’emittente cambiò il suo nome da Telemilano 58 in quello di Canale 5.
Ci furono difficoltà, certo, eravamo alle primissime armi e quasi privi di mezzi. Le nostre risorse più importanti erano certamente l’entusiasmo e una certa dose di talento. Noi ce l’abbiamo messa tutta e abbiamo avuto modo di farlo a bordo di una nave ammiraglia che ci ha dato l’opportunità di raggiungere un vastissimo pubblico. Ci è stata data anche una grande fiducia, che ci ha permesso di realizzare grandi progetti in un clima di grande entusiasmo con tutti quelli che in quegli anni partecipavano a quella avventura insieme a noi.”

Qual’è stata la più grande soddisfazione per il Gruppo 80?
“Costruire un gruppo solido di professionisti e condividere il nostro know-how con tutti i nostri collaboratori senza tenere nascosto niente.
I momenti di laboratorio, fatte salve alcune tensioni fisiologiche tipiche dell’ambiente dello spettacolo, erano davvero dei bei momenti e dopo avere tanto sudato in gioventù in ambienti anche fatiscenti, per noi era un punto d’onore svolgere il nostro lavoro in un luogo elegante e confortevole, oltre che splendidamente attrezzato.
Possiamo dire di avere molto insegnato e di averlo fatto bene e di avere anche trovato molte brave persone sul nostro cammino.”

A quale creazione sei più legato, e perché?
“Lo so che dovrei dire Uan, e che tutti se lo aspettano; di fatto è vero, non fosse altro per il successo che lo ha accompagnato, soprattutto grazie alla straordinaria capacità dell’indimenticato Giancarlo Muratori nel dargli la voce e un’anima, del rapporto con Paolo, della bravura di Paolo e degli animatori, di Licia prima e di Manuela poi…tutto vero, assolutamente vero.
Però al suo fianco c’è Five: forse perché era il primo, e io ero proprio uno degli animatori prima che il gruppo si allargasse.
Era teatro su nero, e io amo il teatro su nero. E la bravura di Marco Columbro.
Marco aveva una capacità straordinaria di improvvisazione e in quel periodo ci siamo divertiti davvero tanto.
Five aveva mille anime, mille travestimenti e una comicità pazza e surreale. In ultimissima analisi però voglio dire che li tengo entrambi nel cuore, farei davvero fatica a dire chi fra i due è il mio preferito.”

Nelle vostre creazioni trasmettevate qualcosa di voi a livello somatico o caratteriale?
“Forse sì, forse no, oltre che costruttori siamo anche autori e certamente una parte di noi si esprimeva nei testi o nei movimenti.
Bisogna però dire una cosa e cioè che noi seguiamo la tradizione televisiva italiana, e cioè che la voce al pupazzo la dà un attore e non l’animatore. In questo senso si può dire che, oltre al nostro temperamento espresso nel movimento, il vero carattere lo dà l’attore.
Giancarlo ERA Uan, noi potremo anche averlo inventato, ma le sfumature e il modo di porsi divennero assolutamente autonome.
Uan era Uan e Paolo e Manuela parlavano con lui come avrebbero parlato ad un essere umano.
Five forse era un mix fra il mio carattere e quello di Marco, anche se al momento della creazione non sapevamo che sarebbe stato lui a dargli la voce e nemmeno che ci fosse in effetti una certa somiglianza, se visti di profilo.”

C’è un pupazzo che era pronto per andare in onda, ma alla fine è rimasto chiuso in un armadio?
“Certamente, più di uno. In laboratorio noi producevamo con regolarità: a parte le copie dei vari pupazzi che nel corso delle registrazioni si rompevano o invecchiavano e si sporcavano, molti pupazzi di prova, anche solo per fare scuola di animazione. Talvolta questi personaggi venivano usati per altre produzioni o come comparse, spesso rimanevano nelle scatole. Bisogna però sapere che ogni qualvolta ci veniva chiesto di inventare un pupazzo, a parte Five e Uan, noi creavamo diversi pupazzi, differenti per forma e colore. Fra questi pupazzi, o prototipi, veniva scelto quello definitivo. Poteva essere un mix fra le varie proposte, la forma di uno e il pelo di un altro, un certo naso di un pupazzo e la forma di orecchie di un altro e così via.
Questo accadde per Four, Vitamina, Frittella, Fourino e Ambrogio.”

Con chi avresti desiderato lavorare in quegli anni, ma alla fine non è stato possibile?
“Nemmeno a chiederlo… i Muppets, sicuramente!”

Che rapporto c’era con Berlusconi e in generale con l’azienda?
“Stiamo ovviamente parlando del primissimo periodo.
Tutto era in movimento, e anche molto rapidamente. Berlusconi era molto presente e su tutti i fronti; il rapporto con lui, visto il feeling immediato fra noi, Marco e lui, era molto cordiale e continuo, ogni cosa prodotta era sottoposta al suo giudizio e veniva accolta molto favorevolmente.
Le scenette di Operazione Five con Augusto Martelli erano oggetto di grande divertimento e ogni volta, anche in seguito, fino alla scelta di Four, tutto quanto realizzato era presentato alla sua approvazione.
Ovviamente, con l’allargarsi del Gruppo e della quantità di impegni, il rapporto venne a farsi più distante e le produzioni vennero strutturate in modo più organico. Il timone della fascia ragazzi venne affidato alle mani di Alessandra Valeri Manera, che seppe condurre la nave con grande capacità. I nostri rapporti con lei e il gruppo furono sempre improntati alla massima collaborazione e stima reciproca, la squadra fu sempre molto affiatata.”

Era veramente la Milano da bere o tutti fingevano con una grande consapevolezza?
“L’una e l’altra cosa. Diciamo che il bere genera ebbrezza e l’ebbrezza dà alla testa: bisogna dire che in quegli anni lo svago, la moda, la musica, la televisione erano elementi trainanti, proprio come negli anni settanta lo era stata la politica, con la differenza che alla riflessione si sostituì una certa superficiale leggerezza, il che ha generato una sorta di ipnosi collettiva e di incapacità di valutare le conseguenze nel lungo periodo.”

Ad un certo punto tutto è finito: quali sono state le vere cause?
“Se parliamo solo ed esclusivamente dell’uso dei pupazzi in tv, possiamo dire che un andamento con alti e bassi è fisiologico. Il fenomeno cresce, si afferma e poi declina, resta silente per un po’ e poi torna alla ribalta, magari in modo nuovo o con tecniche diverse o con un rilancio: dipende, ma è sempre stato così. L’altra considerazione, molto più pragmatica, è che niente dura in eterno. Mettiamoci anche la discesa in campo di Berlusconi, il diverso assetto delle televisioni del Gruppo, forse anche una distanza di vedute fra il metodo di fare televisione di Berlusconi e quello dei suoi successori. La scarsa volontà o l’incapacità di mettere a frutto un capitale di intrattenimento rinnovandolo con personaggi e contenuti, e certamente anche le differenti sensibilità delle persone. Alessandra Valeri Manera era più conservatrice rispetto alle scelte editoriali che hanno caratterizzato l’emittenza dalla fine degli anni ottanta e fino ad oggi. Fuori Berlusconi e fuori lei, la fascia ragazzi ha perso progressivamente il suo appeal.

Nel 2016 la ABC ha cancellato lo Show dedicato ai Muppet Show, quando invece in Italia l’Albero Azzurro è stato ripreso a grande richiesta del pubblico. Cosa succede? Piacciono o non piacciono i pupazzi animati oggi?
“Per quanto riguarda il Muppet show, penso valgano in parte le ragioni della risposta precedente; la scomparsa di Henson e la diaspora dei componenti storici del gruppo hanno fatto il resto.
Trattandosi poi di un colosso televisivo americano, l’aspetto economico deve avere avuto il suo peso.
Comunque il figlio di Jim Henson ha prodotto quel gioiello di “The Big Blue House” con Big Bear, Ombra, e tutti i bislacchi personaggi della casa che, oltre ad essere intelligente, è davvero delizioso.
Il Muppet Show era forse troppo sofisticato per durare.
Al contrario c’è un grande bisogno di programmi educativi realizzati con intelligenza, questo è uno dei motivi della longevità dell’Albero Azzurro anche se, a mio avviso, ha perso molto di originalità e di forza.
Del resto, come ho già detto, il tempo passa per tutti e forse a volte è meglio fermarsi, fare un reset e ripartire con una marcia in più.”

Cosa pensi degli youtubers, della TV on demand e del mondo digitale in genere?
“Degli youtubers? Dipende, di sicuro non credo di essere la persona più adatta a giudicare un fenomeno legato in gran parte a generi di intrattenimento che non conosco o non pratico, per intenderci il mondo dei videogames.
In ogni caso, grazie ai miei figli sono arrivato ad apprezzare e conoscere alcuni personaggi che sono dei veri e propri fenomeni dell’entertainment. Essendo stato giovane io stesso – può sembrare strano ma è così, ed ero matto come un cavallo – so cosa significa essere giudicati da chi pretende di saperne di più in virtù della propria età.
Per certe cose, sicuramente l’esperienza è importante, ma se avessi dovuto aspettare l’approvazione di chi era più avanti di me con gli anni non sarei andato molto lontano, anzi forse sarei rimasto in perenne attesa. Per cui dico: va bene. L’unica cosa che mi sento di aggiungere, anche se ogni opinione è sempre relativa, è quella di vigilare su quanto si dice o si afferma o su come si fanno le cose, perché ciò ha sempre inevitabilmente delle conseguenze sugli altri.
Sono certamente favorevole alla TV on demand senza nulla togliere a quella generalista, anzi, ci vedrei bene anche dei segmenti di intrattenimento fra le griglie delle proposte. Per quanto riguarda il mondo digitale in genere… è il presente e il futuro.
E’ come l’energia dell’atomo, né buona né cattiva, ma utile o dannosa a seconda dell’uso che se ne fa.”

Quali sono i progetti che hai nella tua testa o quella di un tuo pupazzo?
“Cominciamo col dire, a dispetto della convinzione corrente che si debba essere giovani e performanti per sempre, che ho più passato alle spalle che futuro davanti. Detto questo, mi piacerebbe ancora moltissimo cimentarmi nuovamente con il mondo dell’animazione per poterla trasferire ad una nuova generazione di artisti. Trasferire conoscenze costruttive, di movimento e di contenuto. Capacità di raccontare storie e di creare emozioni attraverso l’uso di una tecnica molto antica eppure sempre attuale e capace di rinnovarsi.
Uan si agita nella scatola, i suoi nipotini vogliono vedere il mondo e farsi tanti amici, poi c’è Jimmy, un pupazzo che mi porto in giro ovunque vada, che è un po’ il mio alter ego bambino. Un operaio pazzerello e buffo, la mia parte infantile, diciamo così.”

Jimmy
Jimmy

Chiudiamo con quella che è stata la tua colonna sonora degli anni 80.
Rispondo con Thriller… e gli Eurythmics no?

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