Home Merendine & C. La pallavolo e il successo del Maxicounou

La pallavolo e il successo del Maxicounou

868
Maxicouno
Arrivavamo dagli anni Settanta che erano stati quelli del Cornetto, della Vespetta, dei bacetti tra innamorati; ma gli anni Ottanta erano un’altra cosa: più colorati, più virili, più americani, più grossi.

E così al successo del Cornetto Algida gli arcirivali della Motta opposero senz’altro il Maxicono, affiancato dal Maxistecco (scomparso non appena il doppio senso divenne evidente alle mamme, insieme col degno claim “Più grande è, più voglia c’è”) e alla MaxiCup, anche lei ben presto rimpiazzata dal Maxibon.

Per lanciare il Maxicono la Motta puntò prima su una campagna pubblicitaria che sulla carta era perfettamente anni 80: il football americano.

Uno sport a stelle e strisce con atleti “maxi”: pare di vederseli i copy dell’agenzia pubblicitaria che si presentano gongolanti con la loro proposta.

E invece la campagna funziona così così, e Maxicono e fratelli stentano a imporsi finché non accade l’imprevisto. Nel 1986, dopo aver vinto tutto con la Pallavolo Parma, la Parmalat decide di dedicarsi ad altro: e a subentrare è proprio la Motta, con il marchio Maxicono, trovando un testimonal d’eccezione nel simpatico Andrea Giani, uno dei pallavolisti italiani (e non solo) più forti di tutti i tempi.

Anche se non così “maxi” come i giocatori di football americani, i pallavolisti nostrani si rivelano una scelta azzeccata: sulle ali dei successi delle squadre emiliane (Parma, Modena, Ravenna) e della nazionale, il movimento decolla e la pallavolo diventa il secondo sport più popolare in Italia, dietro ovviamente al calcio ma superando il basket.

La pubblicità, ovviamente, si scatena con More Than a Feeling dei Boston,

Somebody To Love dei Queen

e i Beach Boys con California Girls, ovviamente per la variante “beach volley”.

 

In pieno delirio di onnipotenza anni 80, per quest’ultima

i pubblicitari non si limitarono a prendere la versione (già di per sé ultra-anni 80) di David Lee Roth della canzone,

ma pensarono bene di cambiarne il testo che, per quel che si sentiva, non partiva con

“Well, East coast girls are hip
I really dig those styles they wear”

Ma invece con

“The Maxi-Ice Cream I love
Is really made for every day”

E culminava nel ritornello che ovviamente non era più

“I wish they all could be California”, ma

“I wish they all could be Maxicono”.

Ora, visto che il 99% della popolazione italiana degli anni 80 non capiva un’acca di inglese e coglieva solo il fascino ipnotico della parola “Maxicono”, come idea ci poteva anche stare. Fa riflettere però che quel fascino promanasse dal nome italianissimo di un gelato italianissimo pronunciato con un accento che non era nemmeno più inglese ma direttamente americano, come da una Heather Parisi anabolizzata.

E anche se nessuno di noi è mai andato al bar a chiedere un “Maxicounou“, sono dettagli come questi che ci parlano di un’Italia ormai diventata, dal punto di vista culturale, una diligente provincia dell’impero americano.

Per di più convinta che fosse successo il contrario, come avrebbe dimostrato di lì a poco la saga del “Du gust is mej che uan“.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.