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Last Christmas (ciao George)

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Last Christmas

Era uno di quei temi che continuavo a rimandare per non sciuparne il gusto, come quei regali che non vuoi mai aprire e continui a tenere da parte. Su di lui avevo solo scritto una cosina preliminare, obliqua, che parlava più che altro degli Wham!. E ovviamente mi tenevo da parte “Last Christmas” per un futuro Natale, quando fossimo stati a corto di idee. Invece George Michael è morto il giorno di Natale, realizzando in un certo senso un’altra delle profezie involontarie di questo sciagurato 2016 che ci ha già portato via Prince e Bowie e Burns.

Con George se ne va un altro pezzo della Golden Era britannica, quel periodo centrale degli anni 80 in cui il rilancio economico dell’isola indomabile divenne anche rilancio culturale, a partire dalla musica (non solo leggera). E un altro pezzo di chi gli anni 80 li ha vissuti. Un pezzo bello grosso, direi.

Mezzo inglese, mezzo greco e mezzo cipriota per un totale di 1,5 uomini nel corpo di uno solo, dotato di un’energia – anche sessuale – e di un carisma inesauribili, George Kyriacos Panayiotou fu lanciato come fenomeno per ragazzine negli Wham!, ma ben presto si stancò dell’etichetta e scommise su una carriera da solista che stupì anche i critici più refrattari e mostrò al mondo che la sua voce e le sue doti di interprete erano veramente fuori dal comune.

Talento purissimo e indole ribelle, all’epoca in cui lasciò gli Wham! aveva in realtà già fatto di tutto: duetti di successo con star internazionali come Aretha Franklin (“I Know You Were Waiting”), partecipazione ai progetti Band Aid e Live Aid, una memorabile apparizione al Mandela Day e un esperimento da solista che aveva scalato tutte le classifiche, “Careless Whisper“,

Io che arrivavo sempre in ritardo scoprii gli Wham! con “Wake Me Up Before You Go-Go” appena prima che si sciogliessero, rimasi folgorato dal video di “Everything She Wants” al concerto di scioglimento “The Final” del 1985 e sognai amori non corrisposti sulle note di “Careless Whisper”. Ma quando George mi fece veramente impazzire fu con il primo album da solista, “Faith”, sparato un singolo dopo l’altro da Deejay Television e da tutte le radio e i juke-box del circondario.

L’album “Faith” fu l’apice della sua carriera da macho sex symbol: praticamente tutte hit, con video debordanti di modelle in lingerie (“I Want Your Sex”), primi piani del suo didietro strizzato nei blue-jeans (“Faith”) ma anche pezzi sentimentali come “Father Figure”, “Kissing a Fool” o “One More Try”, dove probabilmente si può rintracciare un primo accenno alla sua omosessualità.

Da lì in poi cominciò infatti un ripensamento, legato probabilmente al desiderio di smettere di fingersi eterosessuale anche a costo di dare una delusione allo stuolo di ragazzine ormai divenute giovani donne e dei quasi altrettanto numerosi maschi che sognavano di essere come lui. L’album della svolta lo chiamò non a caso “Listen Without Prejudice”, ascoltate senza pregiudizi, e inaugurò il filone del George Michael più maturo e meno rockettaro – anche se “Freedom ’90” è ballabile ancora oggi, un quarto di secolo dopo.

Gli album successivi, “Older” e “Songs From The Last Century”, qualche mezza hit la imbroccano ancora, ma ormai George pare non aver più molto da dire a un’audience che ha completato il ricambio generazionale e preferisce i Take That. Soprattutto, George ha iniziato a mettersi nei casini, facendosi sorprendere nel 1998 mentre fa avances a un poliziotto in un bagno pubblico a Beverly Hills, in una specie di riedizione trash di “Y.M.C.A.” su cui lo stesso George ironizza più tardi nel video “Outside”.

Ma poi litiga con la Sony Records, sfonda la vetrina di un negozio mentre guida sotto l’effetto di una canna e insomma ne combina di cotte e di crude, finendo purtroppo in compagnia dei molti reduci degli 80 molto meno talentuosi di lui che fanno notizia ormai per la cronaca e non per i dischi.

George però di talento ne ha da vendere, e lo dimostra ancora nelle cover: “Somebody To Love” cantata al concerto in onore di Freddie Mercury, “Don’t Let The Sun Go Down On Me” in duetto con Elton John e la geniale “Killer/Papa Was A Rolling Stone”, una delle mie preferite in assoluto. Tutte cantate all’altezza delle originali, se non meglio: potente come Freddy Mercury, intimo come Elton John, più confidenziale anche di Michael Bublé.
E adesso vedremo chi riuscirà a cantare le sue canzoni all’altezza dell’originale.

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