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Postal Market: tutto l’inutile prima di Amazon

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Postal Market

Oggi che abbiamo Amazon, Alibaba e un miliardo di altri siti di e-commerce specializzati in questo e quello, capaci di far arrivare praticamente qualunque cosa da qualunque punto del globo a qualunque altro punto, è impossibile non accorgersi di quanti prodotti inutili sia stata capace di produrre l’umanità.

Negli anni 80, invece, questa consapevolezza era fortemente limitata dall’esiguità degli spazi disponibili su quotidiani, riviste e i pochi, morigerati canali televisivi di allora. Per questo quando mi imbattei per la prima volta in Postal Market, un gigantesco catalogo fatto solo di pubblicità di prodotti venduti per corrispondenza, pensai di avere trovato il paradiso (il paradiso consumista, è ovvio): su Postal Market si trovava letteralmente tutto, dagli spazzolini da denti alle case sull’albero, con contorno di bellezze acqua e sapone che mi sorridevano senza motivo.

L’idea in realtà arrivava da un paio di decenni prima, peraltro come copia di un’idea ancora precedente, e squisitamente americana: fare arrivare l’ognibendiddio del made in USA negli angoli più remoti del Paese, per il bene dei consumatori della provincia, dei produttori e soprattutto di Postal Market stesso, che divenne un gigante: a fine decennio, solo in Italia fatturava 600 miliardi di lire gestendo 45.000 spedizioni giornaliere.

Un orologio alla moda, anche questo sul Postalmarket!
Un orologio alla moda, anche questo sul Postalmarket!

Del resto, come si poteva resistere alle lusinghe di Postal Market se abitavi in provincia? Dove le cose arrivavano sempre col contagocce, e l’inutile era praticamente bandito. Mentre proprio l’inutile costituiva l’ossatura del Postal Market, nonché il segreto del suo fascino. Chi aveva mai visto dal vero un materasso ad acqua, un orologio a cucù svizzero, un televisore a retroproiezione o il Manneken Pis, il mio preferito?

Il Manneken Pis
Il Manneken Pis

Il Manneken Pis era la riproduzione in scala del simbolo di Bruxelles – il bambino che fa pipì – la cui base era in realtà un recipiente che potevi riempire con wiskey (anche se, in Italia, più probabilmente grappa o nocino) che sarebbe poi uscito da dove generalmente esce la pipì di un bambino.

 

Stupite i vostri amici servendo il loro wiskey con il Manneken Pis”, recitava la pagina. Chissà come avrebbero gradito il loro wiskey servito in quel modo, gli amici. Chissà se sarebbero mai tornati a trovarti, dopo. Credo sia per quello che i miei non cedettero mai alle mie insistenze per comprarlo.

E poi c’era la sezione moda, con le coloratissime camicette in seta e dentro le camicette ragazze dal sorriso smagliante. Poche pagine dopo, la sezione dedicata all’intimo femminile ti permetteva legittimamente di vedere dispiegata la gloria della femminilità, e persino di cercare di indagarla tra i veli del pizzo, specie nelle foto a tutta pagina. In foto le ragazze non si turbavano, anzi continuavano a sorridere.

Una vera bomba erano le copertine, che viste oggi sono forse la miglior passerella di bellezze del decennio: Dalila di Lazzaro, Sydne Rome, Romina Power, Gloria Guida, Milly Carlucci, Isabella Ferrari, Eleonora Brigliadori, Marina Suma, Eleonora Giorgi, Marisa Berenson, Kelly LeBrock, Brigitte Nielsen, Brooke Shields Carol Alt.

Non poteva mancare la pubblicità alla televisione, che io e cavoz religiosamente canticchiavamo nell’intervallo: “Con Postal Market sai, uso la testa, ed ogni pacco che mi arriva è una festa… Postal Market prezzi inchiodati – e sottolineo inchiodaaatiii” (nell’epoca dell’inflazione a doppia cifra, non si parlava ancora di sconti e sottocosto: bastava che i prezzi non aumentassero).

Insomma, una corazzata.

Con dei presupposti così, le ragioni del successo di Postal Market sono chiare: immancabile compagno in salotto o al bagno, era una lettura per tutta la famiglia. Piaceva alle mamme e ai papà, ai figli e alle figlie e non trascurava naturalmente i nonni. Impossibile che qualcuno prima o poi non comprasse qualcosa, nonostante questo comportasse poi dover passare per le maglie delle proverbiali, già allora, Poste Italiane. Se non compravi su Postal Market, ci doveva essere in te qualcosa che non andava.

Come tutte le attività commerciali, comunque, anche Postal Market ebbe i suoi alti e bassi. La prima crisi data addirittura al 1980: si concluse nel 1983 seguita da una crescita impetuosa fino a fine decennio, quando entrarono a far parte del catalogo anche firme prestigiose come Krizia e Laura Biagiotti. Ovviamente, però, le cose cambiarono negli anni 90, e soprattutto col millennio nuovo con l’arrivo di internet, dell’e-commerce e di nuove, sconfinate praterie di beni e servizi superflui.

 

Per quanto mi riguarda, però, la pietra tombale su Postal Market non la mise internet, bensì i paninari. Visto che i negozi del centro erano off-limits per motivi sia logistici che finanziari, avevo sperato di recuperare qualcosa dalla vendita per corrispondenza. E fu allora che mi accorsi che su Postal Market non solo non c’era tutto, ma addirittura non c’era niente: non potevi ordinare una cintura El Charro, dei jeans Uniform o un giubbotto Avirex.

Potevi avere un Casio ma non un Winchester, delle ciabatte in lana ma non delle Nike, e i capi di abbigliamento avevano per la maggior parte un taglio che poteva forse incontrare i gusti di un impiegato amministrativo elvetico, non certo del quindicenne italiano medio.

La delusione fu incancellabile, e Postal Market non lo apersi più, limitandomi a canticchiare la canzoncina. Con Postal Market il pacco non era una festa, anzi. Era la festa che era un pacco.

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