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QUANDO DA RAGAZZINI ANDAVAMO AL CINEMA ASTRA DI COMO

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CINEMA ASTRA
Ero un ragazzino pervaso da quell’amore che i grandi prendevano e prendono ancora in giro. Sbagliando fottutamente, perché l’amore di un adolescente è di una potenza che un cervello non ancora sviluppato non è in grado di gestire.

Quell’amore che non pensi ad altro, che non ti fa mangiare, che rimbalza nei tuoi pensieri la notte finché non ti addormenti e che ti viene a svegliare la mattina con la forza di un gong.

Per me era tutto moltiplicato per due, perché ero innamorato di due ragazze. Per comodità le chiamerò LEI e L’ALTRA. LEI la vedevo spesso, L’ALTRA meno. Loro erano amiche e compagne di banco, ma in tutta la mia vita le ho viste insieme solo una volta che non dimenticherò mai.

Successe qualche tempo prima. Era una domenica pomeriggio e andammo al Cinema Astra di Como. Correva l’anno 1986 e proiettavano ‘Top Gun’.

Ci mettemmo d’accordo la mattina durante la messa. Sono al banco col mio amico Michele, detto ‘Morbido’ per certi suoi problemi di sovrappeso. Morbido era innamorato, come molti, della ragazza più bella della sua classe, ovviamente non corrisposto. Sento qualcuno che mi chiama. Mi giro e vedo LEI. Cerca di dirmi qualcosa che non capisco. Prova con l’alfabeto muto:

O-g-g-i C-i-n-e-m-a V-i-e-n-i-?

Io me ne fotto del silenzio ecclesiale e rispondo ad alta voce: “Certo che vengo”. Le risa di tutta la sua fila provocarono l’indignazione delle solite beghine. Non era un appuntamento, a quei tempi non lo era mai. Si usciva tutti insieme, sempre. E poi io avevo 14 anni e LEI 12.

Torno a casa, mangio, mi preparo e vado a prendere l’autobus. Salgo alla mia fermata e, nei posti in fondo rigorosamente riservati agli adolescenti, vedo L’ALTRA. Che ci fa qui? Ci metto un po’ a capirlo: viene al cinema anche lei.

A quell’età non potevi dire a una ragazza che ti piaceva. Dovevi farglielo capire senza farti sgamare dagli altri e poi indovinare se per lei era lo stesso. Senza contare che io, combattuto tra LEI e L’ALTRA, non avevo il coraggio di sbilanciarmi.

Solo due fermate e sale LEI.

Inizia un turbinio di pensieri ed emozioni. Io non ero per niente bello, ma già da piccolo sapevo stordire con chiacchiere, battute e adulazioni. Farle capire che per me era importante era la mia strategia. E ora come facevo?

Comincio a temere che sarà un pomeriggio orribile. Arriviamo all’Astra. Siamo una decina di giovanissimi spiantati, non gira molta grana. Compriamo il biglietto, ognuno per sé, ed entriamo nell’unica sala. Inizia la lotta ai posti. Io sto vicino a te, tu stai vicino a me. Io, solitamente grande regista, sono una specie di zattera in balia delle onde.

Mi siedo. Non so come, ma mi ritrovo LEI a sinistra e L’ALTRA a destra. Subito oltre, Michele ce l’ha fatta e mi sorride complice: lui è seduto di fianco alla più bella della classe, che naturalmente è girata dall’altra parte a parlare con la sua amica.

Le luci in sala si spengono. Inizia la pubblicità e poi il film.

Da che parte devo girare la testa? Non riesco a darmi una risposta e cerco di concentrarmi sul film. Alla fine non faccio nulla. Sono lì fermo come un baccalà. Loro si parlano, e per farlo si sporgono dalla mia parte. Ma parlano tra di loro, non mi considerano. Poi LEI si sporge un po’ di più, le dice una cosa e nel tornare al proprio posto appoggia la sua testa sulla mia spalla. Dovrei essere felice, ma istintivamente mi giro verso L’ALTRA, che guarda dritta verso lo schermo, ma ora sembra irrigidita.

LEI si accorge che mi sono girato e si sposta. Che cosa diamine ho fatto!?

L’eterno dilemma dei cinema era: chi si appoggia al bracciolo? Io ero talmente spaventato che le mie braccia correvano lungo il corpo come se mi stessi tuffando dalla piattaforma dei 10 metri di altezza. Guardo a destra, bracciolo libero. Appoggio il braccio. Un istante dopo L’ALTRA fa lo stesso, appoggiando il braccio sopra il mio e prendendomi la mano.

Inizio a sudare. La mano diventa più viscida di un’arborella appena pescata. Vorrei ritrarla per asciugarla, ma temo che poi non la riprenda più. Dovrei sentirmi il ragazzo più felice del mondo, invece mi sento uno sfigato. Guardo a sinistra, LEI è nera e non guarda più neppure il film.

Intervallo. Si accendono le luci, L’ALTRA mi lascia la mano per paura di essere vista, LEI si alza senza dire niente ed esce dalla sala. Sta andando a prendere i pop-corn? No, sta andando a prendere l’autobus per tornare a casa.

L’ALTRA non dice una sola parola. Le luci si spengono nuovamente; questa volta sono io che cerco la sua mano, ma non la trovo. Alla mia sinistra resta un posto vuoto, davanti un film che ormai non mi interessa più.

Poi guardo ancora alla mia destra, oltre L’ALTRA. Cosa vedo? Morbido sta limonando con la più bella della classe. Mi stropiccio gli occhi e mi infliggo un pizzicotto per assicurarmi di non sognare. Sta proprio succedendo e, per la cronaca, non succederà mai più, ma è una di quelle storie che si possono raccontare e condire di particolari sempre nuovi per una vita intera.

Il film finisce. Usciamo. Qualcuno vorrebbe fermarsi a fare un giro, altri devono tornare a casa subito. Io, sempre in balia delle onde, non prendo posizione finché L’ALTRA non decide. “Resta, resta, resta” prego tra me. E invece, ovviamente, torna a casa subito. Non dico nulla fino all’ultimo e poi salto sul suo stesso autobus, lasciando Michele all’inseguimento della più bella della classe, che nel frattempo si è già dimenticata di lui.

L’ALTRA si siede sui posti laterali. Segnale chiaro. Io mi metto in piedi davanti a lei, nonostante i posti liberi. Non tira mai su la testa per tutti e quindici gli interminabili minuti di viaggio. Io dovrei scendere prima, ma non lo faccio. L’ALTRA se ne accorge, ma fa finta di nulla. Poi si alza alla sua fermata, un istante prima che il bus si arresti. Alza la testa, mi guarda e mi dà un bacio sulla bocca.

Scende, io resto immobile e mi ritrovo al capolinea. Non solo dell’autobus.

Per tre anni LEI e L’ALTRA restano il mio chiodo fisso. Le ho amate entrambe, con tutto me stesso. Sono stato insieme a tutte e due, ma non si può tenere il piede in due scarpe, così finii per perderle entrambe, anche male. Ho ancora nel cassetto la lettera di LEI in cui mi dice che si è rotta le palle e che mi devo decidere una volta per tutte. Aveva ragione, ovviamente. L’ALTRA invece, per indole, ha preferito cancellarmi dalla sua vita e non l’ho più né vista né sentita.

Sono passati 34 anni da quel giorno e di acqua ne è passata sotto i ponti. Io e Morbido siamo entrambi sposati. Lui non ha sposato la più bella della classe e io non ho sposato né LEI né L’ALTRA.

Morbido fa il giornalista e non passa giorno della sua vita senza aiutare gli altri o lottare per una buona causa. La settimana scorsa mi chiama e mi dice: ”Mi aiuti a salvare l’Astra?”. Non c’è bisogno che lo dica, la nostra mente torna subito a quella fatidica domenica del 1986, che da allora abbiamo rievocato decine di volte.

L’Astra è chiuso: non solo per il DPCM, ma anche perché ha bisogno di interventi di ristrutturazione. Morbido è pieno di inventiva e iniziative e ha creato una campagna e una raccolta fondi.

Io so soltanto scrivere e neppure troppo bene. E in questa domenica mattina in cui sto raccontando questa storia, mentre guardo mia moglie e le mie bimbe che giocano, mi rendo conto che proprio oggi è il compleanno di Morbido. A lui non sono mai interessati i regali, perché non ha mai desiderato nulla per sé stesso (a parte limonare con la più bella della scuola).

Questo post, allora, è il mio regalo per lui. Una storia ambientata negli indimenticabili anni 80, all’interno di un cinema monosala che non sapeva di esserlo, perché ai quei tempi di multisala in provincia non ne esistevano. Se anche voi volete fare un regalo a Morbido condividete questo post, cliccate al link sopra e donate.

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