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“See you later”, la biografia del “cumenda”

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Cumenda

Torniamo a parlare del Cumenda Guido Nicheli (il Dogui) grazie all’uscita del libro “See you later” di Sandro Patè che abbiamo intervistato nel nostro bunker degli anni 80.

Ciao Sandro, e bentornato negli anni 80.
“Grazie. Sono forte anche sui Settanta ma negli Ottanta ci tornerei volentieri!”

Come a tutti i nostri ospiti, ti diamo le chiavi della Delorean per tornare in una data degli anni 80: dove vai e cosa fai per prima cosa?
“La risposta razionale: inventare qualche social prima di chi l’ha fatto nei garage della Silicon Valley vent’anni più tardi! Cercherei Gianluca Neri, il vero inventore del web in Italia con cui mi capita ancora oggi ogni tanto di collaborare. La risposta di cuore: vado sulle strade di Milano per cercare i Vanzina. Contrariamente a tanti che pensano l’opposto, “i brothers” sono grandi amanti della mia città, Milano, e all’epoca stavano girando commedie come “Il Ras del quartiere”, “Yuppies”, “Eccezzziunale veramente” che mi faceva ridere come un pazzo. Insomma, per citare Guido Nicheli, faccio ballare l’occhio alla ricerca della macchina da presa.”

Pensi che gli anni 80 siano un decennio di innovazione o, come sostiene uno dei nostri collaboratori, l’inizio delle barbarie?
“Non saprei, il ricordo che abbiamo oggi è un po’ condizionato. Nella mia carriera, a un certo punto mi è capitato di collaborare con una casa di produzione televisiva. Non faccio nomi, ma lì si potevano trovare tantissimi ‘fuoriusciti’ dalla Mediaset degli anni d’oro di Drive In, Iva Zanicchi o quiz di Mike con le minestrine della Knorr. A dirla tutta, anche gente che aveva lavorato a ‘Colpo Grosso’. E sentire in pieni anni Duemila dei cinquantenni che con un Negroni in mano brindavano evocando il grande ritorno degli Anni Ottanta mi faceva molto effetto. Non amo i bilanci. Il problema è quando le persone vogliono vivere nel passato. Io ho solo ottimi ricordi di quegli anni. Alcune volte quegli anni tornano. Vengono tirati in ballo nuovamente. Purtroppo succede spesso solo per cose di cattivo gusto o un po’ trash. Gli anni Ottanta per me sono anche anni in cui si riuscivano a girare film, tv, pubblicità con pochi soldi e tanta creatività. Cosa oggi impossibile. ‘Se non hai la fresca non vai da nessuna parte’, cit.”

Dopo ‘Peccato l’argomento. Biografia a più voci di Enzo Jannacci’ arriva il tuo nuovo libro dedicato ad un altro mito degli anni 80: ‘il cumenda’ Guido Nicheli. Parlaci un po’ del libro.
“Un libro nato da quel generatore di storie che era Enzo Jannacci. Ho passato tanto tempo in sua compagnia, perché a vent’anni decisi di scrivere la mia tesi di laurea sulle sue canzoni. Un po’ perché il suo repertorio era vastissimo, un po’ perché Enzo aveva un modo di parlare molto particolare, con tante parentesi che si aprivano e non sempre si richiudevano, forse un attitudine al racconto esagerata… ci ho messo anni. Oggi, tuttavia, ho ricordi splendidi di quando andavo a casa sua per intervistarlo. In quel mix di aneddoti e cabaret – Jannacci ‘era’ un comico, non ‘faceva’ il comico – a un certo punto salta fuori… ‘Il presidente’. Io chiedo a Enzo: ‘Chi???’. Lui comincia spontaneamente a parlare come il nostro cumenda: ‘Non posso mica spiegarti tutto? NCS. Non conosci il presidente! A casa. Ripresentarsi’. Il presidente era il nomignolo con cui la compagnia di Cochi e Renato, Enzo Jannacci, Massimo Boldi, il Teo, Diego Abatantuono e tutti gli altri chiamavano il grandissimo Guido Nicheli. Anni dopo incontro la nipote di Guido, Lucia che non ringrazierò mai abbastanza, e lì iniziano le mie ricerche per scrivere ‘See you later. Guido Nicheli, una vita da cumenda’.

Come mai hai scelto Nicheli come protagonista del tuo nuovo libro, cosa ti affascinava del suo mondo?
“Come ho scritto nella introduzione del libro io quelli che da bambini imitavano Fantozzi non li ho mai sopportati. Mi faceva tristezza il successo di uno sfigato che nei film, vi assicuro, arrivava a farmi innervosire. Col tempo ho capito che soprattutto i primi due film della saga sono dei capolavori assoluti di scrittura e di regia. Ho conosciuto Paolo Villaggio ed era l’opposto del ragioniere Ugo, che proprio per questo rimane il suo capolavoro. Era una persona sicura di sé e in grado di metterti in difficoltà, in ridicolo con poco. A me, per esempio, una volta ha chiesto che lavoro facesse uno che scrive un libro su Jannacci. Gelo. Ancora adesso non saprei che dire. A me e ai miei amici degli anni Ottanta durante le scuole elementari e le medie piaceva il Zampetti! Lui era uno giusto. Forse un po’ cattivello. Nelle compagnie in fondo a volte si è spietati. Era lui il nostro idolo. Una delle domande chiave è stata proprio: cosa ci piaceva allora? Un altra che ha guidato la stesura della biografia in un secondo momento è stata: quali caratteristiche del personaggio piacciono tanto ancora oggi. Insomma, perché il cumenda ‘cattura’ ancora alla grande?”

Che difficoltà hai incontrato nella stesura del libro?
“Come sanno i fan – per questo libro ne ho conosciuti davvero tanti e tutti davvero attaccati ai suoi film – Guido è morto improvvisamente un pomeriggio di ottobre del 2007. Io, a dieci anni dalla morte, mi sono ripromesso di ricostruire il suo ultimo viaggio fino agli ultimi momenti. Quella volta che Guido ha preso la sua automobile per andare a trascorrere il weekend lontano dal proprio appartamentino in provincia di Pavia. Raccontando questi ultimi giorni e raccogliendo testimonianze di chi gli era accanto, amici e vicini di casa, per esempio, mi sono accorto che fino all’ultimo Guido ha scelto davvero ciò che amava. Questo mi piace. Sarà coerenza o una scelta di vita ben precisa, ma è molto indicativa dell’uomo. Ammettiamolo: gli uffici sono pieni di persone che si lamentano perché vorrebbero avere accanto un’altra donna, abitare in un’altra casa, avere un altro lavoro o di aver compiuto scelte differenti nel proprio passato. Gente che si chiude in se stessa come bimbi in cameretta a disegnare draghi e cavalieri. Spesso regredisce. Forse sono gli stessi che imitavano Fantozzi in adolescenza. Guido, invece, passa una splendida serata al ristorante, una passeggiata alla ricerca del sole sul lungolago di Desenzano del Garda, la partita del suo Milan in un bar con una barista particolarmente carina… taaac. Libidine. Fino all’ultimo. Ovviamente ci ho messo anche un po’ di immaginazione. Questa parte di fantasia ammetto di non l’averla mai messa in un libro o in un articolo. La si trova all’inizio di ogni capitolo.”

Ho avuto il piacere di conoscere il cumenda in varie occasioni e la cosa incredibile è che non recitava, lui era veramente così.
“Sì. Anche questa mi sembra una scelta fantastica. La storia personale di Guido Nicheli è quella di un uomo scelto dal mondo del cinema nella maniera in cui di solito recluta grandissimi attori. Scrivevano le parti calibrate su di lui ben sapendo che poi non avrebbe dovuto far troppa fatica davanti alla macchina da presa. Ci avrebbe messo del suo per risolvere la situazione. In un certo senso, nel suo caso non era nemmeno necessario essere un grande attore. Bastava fare la sua parte. La storia di Guido Nicheli ci fa capire cosa succede quando un tizio come mille altri, io, un negoziante, uno che si incontra per strada, entra a far parte di un film. Molti al suo posto avrebbero potuto non sentirsi all’altezza o percepire un senso di inadeguatezza. Guido, col rischio di non rispettare i copioni, non solo non ha mai sfigurato, è riuscito a portare il suo mondo, le sue manie, i suoi modi di dire e le sue fisse. Quelle sono arrivate fino ad oggi. Il concetto della vacanza in stile ‘Sapore di mare‘ magari è superato dal tempo, ma lo splendido che arriva in auto e ci mette 2 ore e 57 al posto di 3 ore e si sente un grande rimane. Non è una cosa da poco. E’ una cosa che fanno i grandi attori scelti per ruoli da protagonista. Guido, inconsciamente, ci è riuscito.”

Cosa è rimasto secondo te della sua Milano da bere?
“Per questo libro ho sentito più volte il più grande cantore di quel periodo: Andrea G. Pinketts, scrittore per cui ho una venerazione. Consiglio la lettura di una trilogia che tra modelle, palestre e comparse di film come Via Montenapoleone, fa capire molto del decennio che amiamo: ‘Lazzaro vieni fuori’, ‘Il senso della frase’, ‘Il vizio dell’agnello’, ‘Il conto dell’ultima cena’. Avevo detto trilogia? Non importa.
Come direbbe Pinketts, in fondo anche i tre moschettieri in realtà erano quattro. Lui mi ha detto che vedere il Dogui parlare come in un film nei locali che frequentavano insieme al tempo, era come entrare in un bar del Texas e trovare al bancone Johh Wayne vestito da sceriffo con tanto di pistole. Uno spettacolo. Un po’ come Andy Kaufman del film ‘Man on the moon’, una corazza ma tutta da ridere. La Milano da bere è sempre citata quando si vuole sottolineare l’apparenza, la falsità e l’arrivismo di un’epoca. Molti uomini del tempo, un po’ come aveva fatto il già citato Fantozzi forse, si erano inventati dei personaggi per esorcizzare la loro vita vera. Io amo i comici. Specie i cabarettisti. Per me Giorgio Faletti da Asti che arriva a Milano, trova una città molto diversa da quella natale, dopo la gavetta in locali e localini mette temporaneamente nel cassetto la sua laurea, arriva a Drive In e debutta dicendo “E’ qui che ci sono le donne nude?”, per me è poesia pura. Lo trovo geniale. Gli anni Ottanta in realtà sono quel ribaltamento lì. Scherzare su tutto. Anche su se stessi. Tutta apparenza? E vabbè, facciamo finta che Milano è meglio di New York. Ci sto.”

Nicheli in "Scemo di Guerra"
Nicheli in “Scemo di guerra”

Solo in ‘Scemo di guerra’, di Dino Risi, Guido ha un ruolo in un film drammatico, particolare per una persona che ha sempre fatto ridere il proprio pubblico (tanto da essere doppiato in questa pellicola). Pensi che per lui era così difficile uscire dal personaggio del ‘cumenda’?
“In ‘Scemo di guerra’, un film problematico che ha cambiato cast un sacco di volte diventando poi una co-produzione Italia-Francia, c’è un Guido diverso dal solito. A me il film piace parecchio. Come tanti di guerra. Ho letto i diari di Mario Tobino da cui è stato tratto. Mi piace anche la versione dell’opera di Tobino di Monicelli qualche anno dopo ne ‘Le rose del deserto’ con un grande Tatti Sanguinetti che quando recita mi diverte molto. Tutti però possono recuperarlo. Quello che mi sembrava importante inserire nel libro è viceversa il ricordo di Guido. Non ve lo voglio rovinare. Guido, figlio della guerra, caratterista alla ricerca di spazio nei film che anche se pochi volevano dire anche… nogra, dilso, insomma i danè, viene invitato al Festival di Cannes. Un suo film è in cartellone in uno dei festival più importanti del mondo. Mica male. Non farò spoiler di ciò che Guido scrisse sul suo diario. Sì, il Dogui ha tenuto un diario dalla fine degli anni Settanta fino al 2007.”

Sulla tomba di Nicheli campeggia come nel titolo del tuo libro la frase ‘See you later’. Insomma, sopra le righe fino alla fine.
“Eravamo d’accordo sul titolo sin dall’inizio. Io, la sorella Adriana e la nipote l’avevamo ipotizzato sin dai primi incontri, oramai più di due anni fa. Sopra le righe, sì, ma il Dogui non è mai provocatorio. Come mi ha detto Marco Giusti, in rete la sua intervista Stracult al Dogui va ancora oggi molto forte, il Dogui non è mai sopra le righe, è diverso dal coatto romano o dai personaggi davvero trash. Tommaso Labranca scriveva negli anni Novanta che il trash si ha con il fallimento di un tentativo di emulazione. Little Tony imita Elvis Presley, fallisce perché non può certo essere definito il re del rock e quindi inevitabilmente può risultare trash. Il Dogui non fallisce mai. Sempre al massimo. Splendido perché si sente splendido. In più, torno su un punto già toccato, il Dogui ti racconta del suo mondo nel suo modo un po’ strano tra una battuta e l’altra. Basta una parola. E’ vero, me l’hanno confermato in tanti, che l’effetto sul set era sempre esilarante. Le battute facevano ridere tutti. Tuttavia, una persona attenta poteva chiedersi da dove venissero alcune improvvisazioni pensate per l’occasione: cosa vuol dire ‘carro’? E ‘galma’? Una volta in una puntata de ‘I ragazzi della terza C’ citò persino Luciano Lutring, criminale romantico della Milano anni Settanta. Perché? Per me ‘See you later’ del titolo vuol dire ‘ci vediamo dopo’, ma anche ‘ci intendiamo alla fine del libro’, ‘ci capiamo poi quando avrai letto tutto quanto’. Insomma, scendete dall’albero e andate a comprare la mia biografia del Dogui!”

Scegli un disco degli anni 80 da abbinare come sottofondo per la lettura del tuo libro.
“Qualcosa di diverso dal solito. Guido ascoltava i Pink Floyd, le grandi voci come quella dell’amico Fausto Leali e amava da impazzire il jazz. Io consiglierei però quello degli anni in cui era anche lui uno sbarbato. Quello di Basso e Valdambrini, Chet Baker, Enrico Intra, Franco Cerri o del mio amico Giorgio Buratti, autentico fenomeno dello swing. Oppure l’orchestra di Gaslini. O Gil Cuppini. Così il libro è davvero…in Pole Position.”

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