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Speciale Sentimental dancers “Seven Years In Space” Intervista a EUGENE

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EUGENE
Ancora un’edizione speciale di Sentimental Dancers. Stavolta diamo spazio a uno dei dischi più interessanti di questa prima metà del 2022.

Stiamo parlando di “Seven Years In Space”, l’album di Eugene, uscito per Discipline, storica label italiana indipendente. Un album che chi ama gli 80s non potrà non amare.

Songwriter dallo stile personalissimo, poliedrico musicista spesso in tour con delle icone degli anni ’80 come Garbo e Gazebo, Eugene ci ha raccontato com’è nato questo suo primo lavoro sulla lunga distanza, che sorprende per originalità e ispirazione.

Allez, partiamo tosti con la nostra oramai imprescindibile overture.

EUGENE 01 (© Claudia Nappi)
EUGENE (© Claudia Nappi)

Ti diamo le chiavi della DeLorean per tornare negli anni ‘80, che anno scegli e cosa fai?
“New York, 8 Dicembre 1980, precisamente all’ingresso del Dakota Building, per strappare la pistola dalle mani di Mark Chapman prima che sia troppo tardi. Poi, a missione compiuta, un salto nel 2984 per vedere se fanno ancora un buon Martini cocktail”.

In “Seven Years In Space” gli 80s si sentono, ma non in maniera mimetica. Le tue suonano come canzoni di oggi: è possibile traslare gli anni ‘80 in un immaginario contemporaneo?
“Le mie sono canzoni di oggi. Mi piace utilizzare i sintetizzatori e le batterie elettroniche per comporre, è una scelta spontanea. Il mio obiettivo è esprimermi nel modo più efficace che posso.

Se è vero che certe sonorità fanno parte della mia formazione, è altrettanto vero che sono tra i punti di partenza della mia ricerca e, perché no, tra i punti di “non arrivo”. Trovo molto più eccitante suonare queste macchine con le energie del momento piuttosto che nell’intenzione di un recupero nostalgico, al quale non sono interessato”.

Videoclip EUGENE – “CRASH” (Radio Edit) – official lyric video

Viviamo di singoli, eppure il tuo album si avvicina molto all’idea di “concept”? Come nasce, e come arriva in sette anni ad acquisire la forma attuale?
“In realtà non si tratta di un concept, anche se ci sono molti fili invisibili che si intrecciano tra i brani, per vie simboliche o, più direttamente, sonore. Il nucleo di questo album doveva realmente essere pubblicato sette anni fa, mentre attraversavo una fase importante e delicata della mia esistenza e mi accingevo a pubblicare i miei nuovi lavori con la Wall Of Sound, etichetta con la quale avevo appena firmato e con cui avevo ritrovato la soddisfazione di suonare la mia musica dal vivo, soprattutto in Inghilterra.

In questo lungo periodo ho preferito continuare il mio percorso in solitudine anziché affiancato da una band come era stato fino a quel momento: le canzoni sono cresciute con me, hanno subìto dei cambiamenti, in un certo senso si sono anche “perse”. Nell’ultimo anno è stato per me come andare nello Spazio a riprenderle una ad una per riportarle qui sulla Terra, e metterle insieme alle nuove composizioni. Da qui il titolo dell’album”.

C’è un evento significativo che caratterizza la lavorazione dell’album? Una aneddoto legato a una canzone, qualcosa che a posteriori – o mentre si verificava – puoi aver letto come un “segno”?
“C’è un evento curioso legato a “Seven Years”, il brano che chiude l’album. Erano quasi le otto e mezza di sera e mi trovavo in cucina con portatile e cuffie per annotare la linea vocale, mentre mia moglie preparava la cena.

Il giorno dopo riascoltai quella take di voce e decisi di mantenerla sulla versione definitiva perché mi piaceva molto, ma a un certo punto mi accorsi che sulla stessa traccia c’erano dei rumori di fondo piuttosto inquietanti ma allo stesso tempo pieni di fascino: questi rumori provenivano in realtà da stoviglie e posate, ma esaltati dall’uso “estremo” che avevo fatto di compressori e altri effetti, erano divenuti una vera e propria rappresentazione sonora dello “Sturm und Drang” che raccontavo nel testo.

“Seven Years” ha un valore aggiunto grazie a quei suoni registrati praticamente per sbaglio! Forse è accaduto proprio ciò che è scritto su una delle Strategie Oblique di Eno/Schmidt, che stavo consultando per puro divertimento in quel periodo: “Rispetta il tuo errore come se fosse un’intenzione nascosta”.

Tanti i nomi importanti che hai incrociato nella tua carriera. C’è un incontro che ti ha cambiato la vita? E tu, a chi l’hai cambiata?
“Sarò molto sincero con te: nel mio percorso ho incontrato personaggi molto importanti, alcuni di essi anche a livello planetario, ma non credo che per me ci sia stato mai incontro più significativo ed elettrico di quello con Claire (sua moglie, ndr).
Nel modo più assoluto”.

Videoclip EUGENE – “DIVE” (Radio Edit) – official lyric video

Eugene, quale lezione degli anni ‘80 ritieni che sia ancora valida oggi? C’è un tool che varrebbe la pena portarci nel futuro?
“Penso alla leggerezza. Non come superficialità, ma come motore creativo. Penso alla fantasia unita alla curiosità e a un profondo desiderio di comunicazione: valeva negli anni ’80 ma in fondo credo valga per tutte le decadi della nostra storia, anche le più buie”.

La nostra chiacchierata termina qui. Leggerezza è anche una delle parole chiave di Italo Calvino nelle sue “Lezioni Americane”.

Mi piace. Penso che sarebbe bello se questa estate volasse regalandoci leggerezza. Per iniziare, rinunciamo al superfluo, ma non alla buona musica. Eugene sorride e ci saluta.
Sottobraccio un synth, con l’altra mano stringe quella di Claire.
A Milano spira una brezza gentile e innamorata, oggi.

extra EUGENE 05 (© Michele Lifranchi)
EUGENE  (© Michele Lifranchi)

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Photo:
Claudia Nappi
Claire Lyndon / Stargazers Inc.
Michele Lifranchi

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