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Street Hawk, il falco della strada

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Street Hawk
Tra i dodici e i tredici anni, fresco di innamoramento per le due ruote, ogni mio weekend era scandito da due momenti orgasmici: la prova di Nico Cereghini all’interno di Gran Prix la domenica mattina e le peripezie del Falco della strada il sabato sera, sempre su Italia1.

Dato che la considerazione della moto è sempre inferiore a quella dell’auto, Street Hawk passava in seconda serata dopo Supercar, ma tutto sommato era meglio così: i miei, che erano mattinieri, andavano a letto e io potevo godermi l’adrenalina della serie da solo e a luce spenta.

In realtà, col senno di oggi, Street Hawk passava dopo Supercar perché era oggettivamente molto peggio per cast, regia e sceneggiatura.

Il pur bravo Rex Smith aveva un centesimo del carisma di David Hasselhoff, e si avvicinava piuttosto al fidanzato di Barbie (bravi: Ken). L’idea del protagonista ferito e riabilitato segretamente si era già vista cento volte, da “L’uomo da Sei milioni di dollari” a “Robocop”, e quella della moto ipertecnologica era un ovvio tentativo di sfruttare il traino del successo di Supercar.

La moto aveva un cannone laser e altre armi, poteva spiccare balzi fino a 30 metri d’altezza e all’occorrenza disponeva di una “superspinta” in stile cartone animato giapponese, utilizzabile però solo se controllata da un assistente remoto con tanto di computer (l’idea di avere un computer a bordo era fantascientifica). In pratica un incrocio tra una moto da cross e una MotoGP, che si guidava con una tuta e un casco supertecnologici. Plausibilità zero, ma se avevi dodici anni poteva andare: anche grazie alla colonna sonora mica male dei Tangerine Dream.

E insomma il Falco della strada inizia a dare la caccia ai criminali, più o meno super, forte delle sue prestazioni fenomenali: in particolare la velocità massima di 480 km/h, ottenuta nella serie con un banale fast forward della pellicola. Quindi la moto curvava a 480 km/h senza piegarsi, una cosa talmente inverosimile che solo un ragazzino del tutto privo di nozioni di moto (e di fisica) poteva bersi.

Visto comunque che ero appunto un ragazzino digiuno di moto e di fisica, mi appassionai senza problemi ai piccoli drammi dell’aitante Jesse Mach e di Norman Tuttle, il nerd che controllava la moto da lontano. Sognando di diventare come il primo, e senza immaginarmi che sarei invece diventato come il secondo.

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