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Howard, il destino del mondo e la sua “Poesia”

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C’è questa scena bellissima all’interno de “Il Postino” (capolavoro diretto da Michael Radford) in cui un magistrale Massimo Troisi (che da lì a qualche mese dall’uscita della pellicola, purtroppo, ci avrebbe lasciato), rivolgendosi verso il Pablo Neruda interpretato (altrettanto divinamente) da Philippe Noiret pronuncia una delle frasi più iconiche e maledettamente vere della Storia del Cinema:La Poesia è di chi gli serve, non di chi la fa”. Ecco.

Questa splendida ed argutissima riflessione, almeno per chi scrive, la si potrebbe utilizzare per parlare di uno dei movies più “Anni Ottanta” mai realizzati negli Ottanta, per l’appunto: “Howard e il destino del mondo (“Howard the Duck” in lingua originale). Già. Perché l’opera diretta dal buon Willard Huyck rappresenta una vera e propria panoramica sul mondo patinato di quel decennio e su un futuro che sembrava realmente a portata di mano (prima che diventasse a portata di click). Altroché.

Per ciò che concerne la trama del film, la storia di Howard è basata sul personaggio del papero “alieno” della Marvel Comics, creato da Steve Gerber e Val Mayerik, ed è in assoluto il primo lungometraggio cinematografico basato su di un personaggio dell’universo fumettistico della nota casa editrice statunitense (le precedenti trasposizioni realizzate fino ad allora si erano infatti limitate a serial cinematografici ed a serie TV).

Gli interpreti principali sono Chip Zien (che presta la voce a Howard), Lea Thompson (come dimenticare la sua Lorraine Baines, madre di Martin McFly in “Ritorno Al Futuro”?), Tim Robbins e Jeffrey Jones.

Insomma, un cast piuttosto variegato per uno dei film più rappresentativi degli 80s. Va da sé, naturalmente, che appare oltremodo tedioso fermarsi alla superficie di una storia – piuttosto sempliciotta, va detto – che racconta le sorti di un papero “alieno” che di colpo si ritrova catapultato nella Cleveland di allora e che, per farvela breve, si innamora della cantante ribelle e squattrinata di una rock band. La vera essenza del film di Radford, infatti, dimora soprattutto tra le pieghe romantiche di un immaginario più profondo di quel che può sembrare.

Sì. Perché il fascino recondito di un personaggio come Howard risiede soprattutto nel suo essere un’outsider (oggi si direbbe underdog). Una sorta di eroe cinico e decadente.

E poco importa se, nel corso degli anni, la pellicola in questione abbia raccolto più consensi negativi che favorevoli. Guardare le vicende tragicomiche di uno dei “paperotti” più sgangherati che la cinematografia mondiale ricordi, ha sempre il suo perché. Non solo.

Per chi scrive, “Howard e il destino del mondo” rappresenta una di quelle opere che, pur non brillando particolarmente in originalità, viene ricollegata – giocoforza – alla propria infanzia. Del resto, ci sarà pure un motivo se la TV del belpaese – e Mediaset in particolar modo – nel corso degli anni abbia riproposto più volte la pellicola uscita il 1° agosto del 1986.

La Poesia è di chi gli serve, non di chi la fa.

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