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Intervista a Roberto Turatti

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Roberto Turatti
Abbiamo intervistato Roberto Turatti e con lui abbiamo fatto un viaggio della sua storia professionale.

Come a tutti i nostri intervistati ti diamo le chiavi della DeLorean per tornare negli anni 80, in che anno vai e cosa fai per prima cosa?
Vado nel 1982 quando ho iniziato a fare i primi dischi e rifaccio esattamente quello che ho fatto perché mi hanno portato tanta fortuna gli anni 80 e non ho nessun rimpianto.

Cosa ti manca della decade ottanta e cosa invece non ami particolarmente?
Della decade anni 80 mi manca assolutamente la voglia di andare in discoteca che c’era una volta rispetto ad oggi che si va più che altro portati dai pr e non si va per la voglia di andare a ballare o per la voglia di ascoltare musica.

Anche la musica live si viveva in un altro modo e si suonava nelle cantine con i gruppi, insomma mancano tutte queste cose degli anni 80.
Invece quello che non amo particolarmente degli anni 80 a pensarci, niente, mi piaceva tutto perché erano anni di benessere.

Hai una carriera a tutto tondo: batterista, deejay, produttore e pure scrittore. Qualche di questi lavori ami di più e perché?
Beh in effetti una carriera a tutto tondo come dici tu a parte scrittore, io non sono uno scrittore nel senso che il libro l’ha scritto Gabriele Congiu, chiaramente io ho dato a lui tutte le dritte per poter scrivere questo libro.

Quindi è scritto a quattro mani delle quali tre sono le sue, però in realtà il libro è stato scritto da lui, io l’ho corretto, l’ho sistemato e ho rivisto cose che magari non avrei detto in quel modo lì.

Invece batterista lo sono stato e ai tempi amavo suonare lo strumento, poi ho fatto il dj e ho amato fare il deejay, poi sono diventato produttore che è tuttora è quello che faccio.

Il deejay lo faccio quando mi chiamano e soprattutto sulla musica revival, ma in realtà il lavoro che amo di più è l’allenatore. Perché io in realtà sono allenatore di squadre che magari vincono degli scudetti, ma le squadre sono nella musica, non nel calcio, attenzione.

Cosa ti piace ricordare del periodo passato con i Decibel? Come si passa dal punk all’italo disco?
La mia carriera nei Decibel è stata molto breve perché è durata un anno, ho fatto il primo lp punk come batterista e ho conosciuto Ruggeri perché ho messo un annuncio in un negozio di dischi dove nella bacheca si mettevano le ricerche dei componenti dei gruppo.

In quel caso a noi mancava il cantante e Ruggeri mi ha chiamato chiedendo se avevamo un posto per provare e io gli ho detto “certo, in cantina da me, noi proviamo stasera”, lui è venuto e da li sono nati i Decibel.

Quindi lo ricordo con piacere perché ho fatto un album registrato al Castello di Carimate che era uno degli studi più belli d’Europa. Una cosa incredibile per un ragazzo che suonava la batteria ritrovarsi a registrare un disco in uno studio.
Il periodo passato con i Decibel è stato bellissimo.

E poi come ho fatto a passare dal punk all’italodisco? Semplicemente sono entrato in discoteca e ho conosciuto Miki Chieregato, ho iniziato a fare il dj, lavoro che mi ha insegnato lui, essendo batteria, sono stato facilitato.

Mi portavo in discoteca la Roland 808 con la quale realizzavo delle sequenze e le suonavo insieme a dei dischi di lezioni di inglese e tedesco, sembravano dischi rap, quindi facevo il rap già nel 1979.

Poi con una ritmica e con una sequenza di bassline è nato “too meet me” il primo disco di Den Harrow realizzato insieme a Chieregato e a Gigi Schiavone che era il chitarrista di Enrico Ruggeri, quest’ultimo ha fatto il testo e da li è iniziata la mia carriera nell’Italodisco.

Ma non avrei mai pensato al successo, il primo disco io e Miki lo abbiamo fatto un pò per gioco e poi è invece diventata la nostra professione.

Hai prodotto tantissime hit con Den Harrow, Albert One, Tom Hooker, Fred Ventura, Eddy Huntington, Joe Yellow, Styloo, P.Lion, Sabrina Salerno, giusto per citare alcuni degli artisti anni 80 con i quali hai lavorato.
Come nasceva la magia e quali difficoltà hai incontrato? Come si lavorava in studio di registrazione?
La magia è nata perché come ho detto prima abbiamo fatto il primo disco per gioco, siamo andati da Lombardoni, lui ci ha finanziato e abbiamo registrato in studio a Milano.

Le chitarre sono state registrate da Schiavone, la tastiera era la sequenza di bassline insieme ad altre tastiere non nostre, perché all’inizio usavamo altri tastieristi come Piero Cairo, perché Miki aveva iniziato suonando la chitarra e poi ha imparato a suonare le tastiere ed è diventato molto bravo.

Dopo i primi dischi ci siamo realizzati il nostro studio di registrazione sotto il negozio di sanitari del papà di Miki a Milano e infatti dicevamo “sotto i cessi, i successi”.

Poi dopo abbiamo fatto un altro studio a Vimodrone, ci siamo ingranditi e un pò alla volta siamo sempre cresciuti. I dischi funzionavano, abbiamo fatto un bel contratto con la Baby Records che ci ha permesso di poter realizzare lo studio.

Miki era quello che stava più in studio, io mi occupavo si di fare i pezzi con lui ma anche di seguire gli artisti e di gestire tutta la parte economica, sai, ognuno deve avere un pò il suo ruolo.

Io mi occupavo più delle ritmiche, Miki più delle tastiere e la melodia nasceva quasi sempre da lui e poi veniva completata insieme, poi è arrivato Tom Hooker, Fred Ventura, Albert-One, insomma si facevano le cose insieme. C’era un bellissimo clima.

A quale progetto sei più legato e affezionato?
Guarda forse sarò anche ripetitivo ma io non sono legato a un progetto in maniera particolare, perché ogni progetto che abbiamo realizzato aveva una sua storia, un suo percorso, anche quelli realizzati successivamente con Mario Decale e Silvio Belloni negli anni 90 o nel 2000 con Gino Zandonai, anche i progetti con Francesco Salvi, Sabrina Salerno, Kim Lucas, tutte cose alle quali sono legato.

Infatti quando mi chiedono qual’é il disco più bello che hai fatto, io dico sempre “quello che devo ancora realizzare”.

Secondo te qual è stata la chiave del grande successo dell’Italo Disco?
La chiave del successo dell’Italodisco è stata in realtà perché tanti italiani hanno iniziato a realizzare brani da discoteca e quindi le melodie in quel periodo li piacevano.

Il modo di realizzare i dischi dance con i sequencer e con le batterie come si faceva in Italia piacevano, le melodie forse acchiappavano e forse anche perché molti dischi si rifacevano alla new wave inglese però mettendo qualcosa di nostro.

Questa melodia Italiana, questo modo di fare le canzoni era comunque diverso da quello Inglese, da quello Tedesco o Francese.

In realtà non so quale può essere la chiave del successo dell’italodisco, posso intuire che è stato tutto questo che ho descritto. Un fattore scatenante è stato il fatto che sono arrivate tastiere che erano alla portata di tutti, non bisognava spendere centinaia di milioni di lire per realizzare dei dischi in studio come si faceva una volta che dovevi avere un batterista, un chitarrista, l’orchestra, per realizzare dischi dovevi andare e registrare in studio.

Te li potevi fare a casa anche se non come adesso, però in realtà potevi farti le tue demo, i tuoi provini con i registratori a cassette e poi andavi in studio a realizzare il brano ma costava relativamente poco. Quindi il segreto del successo è stata questa apertura e poi insomma, in Italia eravamo bravi.

Sono passati tanti anni e purtroppo Den Harrow e Tom Hooker ancora litigano sui social, come hai vissuto questa situazione?
Beh la situazione di Tom e Den a me non è mai piaciuta però non posso farci niente e comunque la vivo male perché a me dispiace, perché sono legato moltissimo a Stefano, sono un pò legato anche a Tom e quindi mi spiace questa situazione, spero si risolva.

Per conoscerti di più è uscito il tuo libro “50 anni di musica e sentimenti”, perché i nostri fan dovrebbero acquistare il tuo libro?.
Perché il libro è un pò la storia di 50 anni di musica vista dai miei occhi, cioè quello che ho vissuto io, iniziando dagli anni 70 quando suonavo la chitarra, poi la batteria, poi quando ho fatto il dj e il produttore, fino ad oggi.
Io non riesco a dire perché dovrebbero acquistarlo, magari per vedere più di 100 interviste che io ho fatto a collaboratori e ad amici che ho trovato nel mio percorso.
E’ un libro ricco di aneddoti e utilizzando i codici qr che sono nel libro e potete rivivere momenti di storia di come si lavorava in studio e di come si vivevano quegli anni.
E un libro interessante, poi l’ho fatto io, cosa devo dire, che non è bello?

Secondo te la musica digitale ha distrutto il mercato discografico?

Il mercato discografico inteso com’era una volta certo che lo ha distrutto, ma è normale, la gente una volta si comprava i dischi, ci si affezionava all’artista, adesso i brani si consumano molto più velocemente.

Ce ne sono tantissimi e questo non vuol dire che non siano di qualità però indubbiamente il digitale ha fatto penare il mercato discografico, assolutamente.

Adesso le cose stanno cambiando, bisogna adattarsi ai cambiamenti e per la musica e per i musicisti non è facile, non riesci più a monetizzare quando realizzi un brano, una volta si guadagnava vendendo i dischi fisicamente.

Oggi se una persona ha voglia di ascoltare un brano, tra spotify o youtube, non va certo a comprare un disco. Tanto che oggi di vinili ne stampi 300 copie di un mix, una volta 300 copie erano quelle che davi in omaggio (ride, ndr).

A maggio parteciperai a “Italo Disco Take Over” evento tra Rimini e Riccione, finalmente anche in italia un incontro per chi ama l’italo disco. Come ti approcci a questa esperienza?

Ma io sono molto eccitato e contento che ci sia un incontro per chi ama l’italodisco in Italia, potrebbe essere una bella occasione anche per stare insieme, ci saranno tanti artisti dell’italodisco, tante persone che arrivano anche dall’estero.
Bello, bello, io sono molto contento, non vedo l’ora che arrivi questo momento per partecipare a questa kermesse.

Tu continui a produrre musica, cosa ci proponi per l’estate?

Si io continuo a fare il produttore, tra l’altro sono anche uscito con un brano mio per la prima volta, un brano di Roberto Turatti cantato da Jeffrey Jey degli Eiffel 65.

Ci sono più remix del brano perché ci sono stati molti amici deejay che lo hanno voluto remixare e mi ha fatto molto piacere. Usciranno due vinili e a maggio proprio all’Italo Disco Takeover di presentarli.

Questo sarà il primo e ultimo disco di Roberto Turatti come artista tra virgolette anche perché non canto io ma Jeffrey, ma ho fatto un pò il David Guetta della situazione. Io ho sempre lavorato dietro alle quinte, questa volta mi sono esposto in concomitanza del libro ho fatto uscire anche questo singolo ma non ripeterò l’esperienza anche se è stata positiva.

Il disco è piaciuto, funziona bene per quello che è il momento quindi sono molto contento e il disco è coerente con la mia storia, con quello che ho prodotto nella mia vita. Per l’estate uscirò con l’altra produzioni, ma non ho troppa fretta per queste uscite.

Lasciamoci con un paio di dischi che un deejay dovrebbe avere sempre in valigia.

Beh sai i dischi sono soggettivi, due dischi che il deejay dovrebbe avere sempre nella propria valigia, almeno nella mia non mancheranno mai, Depeche Mode e Michael Jackson.

Abbastanza agli antipodi come genere ma giusto per farti capire che ogni deejay ha la sua musica. E’ un deejay quando riesce a far piacere quello che suona in discoteca, io ho suonato di tutto, la musica mi è sempre piaciuta tutta e quindi, sai, due dischi sono molto pochi.

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