Su “I Ragazzi Della Terza C” abbiamo già detto e scritto tutto. Anche e soprattutto su queste pagine. Il senso di questo articolo, invece, vuole andare a parare in direzione diametralmente opposta rispetto ai discorsi ed alle analisi che, nel corso del tempo, hanno accompagnato una delle serie televisive italiane più famose di tutti i tempi.
A chi scrive, infatti, preme mettere in evidenza un aspetto considerato sempre e solo fugacemente. O, almeno, non abbastanza. En passant, direbbero i francesi.
Tenetevi forte: i personaggi di Enrico “Chicco” Lazzaretti e Bruno Sacchi (interpretati magistralmente da Fabio Ferrari e Fabrizio Bracconieri) sono stati due tra i maggiori filosofi degli Anni Ottanta. Edonismo e quotidianità. Sì, avete letto bene. Filosofi.
Cos’altro rappresenterebbero, altrimenti, le gesta tragicomiche del sopraccitato Lazzaretti? E le (dis)avventure di Sacchi? Pensateci bene: I due amiconi-compagni di classe sono stati uno spaccato incisivo degli Anni Ottanta più iconici, quasi alla stessa stregua di “Thriller” e di “Ritorno Al Futuro”.
Nella scaltrezza e nell’eterno ottimismo di Lazzaretti (che spesso cozzava con la realtà, ma quello è un altro discorso) vi era un certo modo di essere italiani che ci rappresentava bene. E lo stesso discorso valeva pure per la semplicità disarmante di Sacchi. Non ce ne vogliano gli altri brillantissimi protagonisti della Serie, ma per molti era più facile immedesimarsi nel duo in questione, che nelle moine appiccicose di Rossella e Daniele, per esempio.
In Lazzaretti e Sacchi non si identificavano solo i ragazzi, o una certatipologia di essi, ma anche gli adulti. Ammettiamolo: talvolta, in alcune situazioni della vita, tutti ci siamo sentiti un po’ Bruno Sacchi e un po’ Chicco Lazzaretti. Divisi a metà fra la sfacciataggine caciarona del secondo e l’ingenuità atavica del primo. Tanto, alla fine, il voto era lo stesso per entrambi.