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Stella Rossa-Milan 1988-’89, quella “sliding door” calcistica…

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Stella Rossa-Milan 1988-’89, quella “sliding door” calcistica…

Quando si tratta di fare un esempio di quanto il caso possa agire sul futuro di tante persone, non si può non menzionare la sfida Stella Rossa Belgrado-Milan dell’edizione 1988-’89 della Coppa dei Campioni.

Ovvio, ci si riferisce a una semplice sfida calcistica, ma che rende l’idea di quanto le “variabili impazzite” possano modificare la storia (non solo quella sportiva, ovviamente): infatti, il confronto di ritorno del secondo turno della massima competizione continentale per club diede inizio all’epopea del grande Milan internazionale.

Ma andiamo con ordine. Reduce dalla conquista dello storico scudetto 1987-’88 (con una prodigiosa rimonta sul Napoli, culminata col successo per 3-2 del 1° maggio 1988 all’allora “San Paolo”), il Milan si presenta al ritorno del secondo turno della Coppa dei Campioni dopo aver agevolmente eliminato al primo turno il Vitosha Sofia (l’attuale Levski Sofia -che utilizzò tale nome dal 1985 al 1990, piegato per 2-0 all’andata in Bulgaria e per 5-2 al ritorno a San Siro) e aver pareggiato in casa per 1-1 la sfida d’andata con gli ostici biancorossi belgradesi, passati in vantaggio al 47’ con Dragan Stojković ma immediatamente raggiunti al 48’ da un acuto di Pietro Paolo Virdis: per accedere ai quarti di finale, i milanisti devono assolutamente segnare, in quanto uno 0-0 qualificherebbe gli jugoslavi (allora si diceva così, poiché la Serbia era una delle sei Repubbliche della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia) per via della rete realizzata in trasferta.

In pratica, i meneghini devono vincere oppure pareggiare dal 2-2 in su, mentre un 1-1 porterebbe la contesa ai tempi supplementari ed eventualmente ai tiri di rigore.

Il 9 novembre 1988 il Milan non gioca da par suo, anche per via della bravura della compagine slava, che può contare non solo sulla classe di Stojković, ma anche su un certo Dejan Savićević: appunto quest’ultimo porta in vantaggio la Stella Rossa al 50’. Un Diavolo con poche idee sembra destinato a uscire anzitempo dalla Coppa, in quanto per giunta rimasto in inferiorità numerica per via dell’espulsione di Virdis (“reo” di una -presunta- gomitata a un avversario).

Invece, dal cielo (nel vero senso della parola) arriva un’alleata inattesa: la nebbia, che proibisce non solo di vedere da porta a porta, ma addirittura non consente la vista a un palmo dal naso, quindi l’arbitro (il tedesco occidentale -sì, allora esistevano ancora due Germanie- Dieter Pauly) decide di sospendere la partita. Regolamento alla mano, Stella Rossa-Milan va rigiocata, daccapo, il giorno successivo, ma le eventuali squalifiche vanno scontate, il che significa che sia Virdis (espulso nella gara sospesa) sia Ancelotti (già diffidato e ammonito in tale partita) sono squalificati.

Ma il Milan del 10 novembre 1988 è conscio d’essere in debito con la sorte, quindi gioca come sa. I rossoneri segnano già al 4’, quando un’uscita errata del portiere locale Stevan Stojanović consente a Graziano “Lupetto” Mannari di battere a rete: la debole conclusione del giovane attaccante milanista è respinta malamente dal difensore slavo Goran Vasilijević, che (cercando di liberare) “svirgola” il rinvio, con la sfera che termina nella porta jugoslava, nonostante il disperato tentativo di salvataggio effettuato da tre difensori biancorossi, che ricacciano il pallone fuori solamente dopo che lo stesso ha varcato di un metro abbondante la fatidica linea di porta.

Tutti vedono il goal, in primis il telecronista della TV di Stato (ovvio, si tratta di un Paese socialista) jugoslava, il dalmata (di Signo) Mladen Delić, che esclama: «Autogol!». Autogol per tutti, ma non per il direttore di gara, che lascia correre tra l’incredulità generale.

Il Milan, però, non si scompone: è conscio d’essere più forte della Stella Rossa e, quindi, reagisce da grande squadra, passando a condurre al 35’ grazie a Marco Van Basten, lesto nell’inzuccare in rete un perfetto traversone di Roberto Donadoni.

Al 39’ il solito Stojković insacca il pareggio finalizzando una veloce azione con un forte sinistro sul primo palo, non dando scampo all’incolpevole Giovanni Galli. Pochi minuti dopo, al 43’, Donadoni deve uscire in barella a causa di un terribile scontro aereo con Vasilijević: si teme il peggio, il fantasista milanista deve essere trasportato in ospedale, ma se la cava con un grande spavento e sessanta giorni di prognosi.

La partita, giocata sul filo dei nervi, si protrae fino ai rigori, dove sale in cattedra il portiere rossonero Giovanni Galli. La Stella Rossa deve tirare per prima: “Pixie” Stojković spiazza l’estremo difensore milanista.

Il Milan risponde con capitan Franco Baresi: forte destro centrale sotto la traversa, per l’1-1. Si continua con le realizzazioni di Robert Prosinečki e di Marco Van Basten (palla nel “sette”), quindi giunge la svolta, consistente nella parata di Galli su Dejan Savićević: il futuro “Genio” piazza un bel sinistro, ma il numero 1 rossonero, già tuffatosi dalla parte opposta, riesce a respingere di piede. Il Diavolo è finalmente padrone del proprio destino: Alberigo “Chicco” Evani porta in vantaggio i suoi spiazzando Stojanović. Sul rigore successivo, tirato da Mitar Mrkela, si assiste a un’autentica prodezza di Galli, che si allunga sulla sua destra, andando a smanacciare sul fondo una comunque buona conclusione rasoterra del giocatore biancorosso. Ormai è fatta: il seguente tiro dal dischetto vede Frank Rijkaard insaccare senza alcun problema, chiudendo anzitempo la serie di tiri dagli undici metri, che vede il Milan vittorioso per 4-2.

Il grande Milan internazionale nasce quel giorno, quel freddo pomeriggio belgradese, piegando la malasorte, gli errori arbitrali e (diciamolo) una degna rivale: quella Stella Rossa che due stagioni più tardi si sarebbe anch’essa laureata Campione d’Europa (proprio quando lo Stato che rappresentava andava disgregandosi, con le successive crudeli guerre).

Tuttavia, ridurre tale vittoria al solo trionfo del Milan sarebbe alquanto riduttivo, poiché quella fu l’affermazione di un calcio nuovo: quello “profetizzato” da Arrigo Sacchi da Fusignano. Qualora i rossoneri fossero usciti a Belgrado, il ciclo del Milan non sarebbe mai sorto e il calcio di Sacchi sarebbe stato rapidamente accantonato: il più delle squadre sarebbe tornato a giocare col solito “catenaccio e contropiede”, archiviando la “fiammata sacchiana”. La storia, invece, andò diversamente.

Coloro i quali (non sapendo nulla o mentendo sapendo di mentire) continuano a distanza di oltre trent’anni a ricordare ironicamente quella nebbia (quasi a voler sminuire l’impresa dei rossoneri) dovrebbero solamente studiare la storia e i regolamenti, che a quel tempo imponevano la ripetizione della partita. Punto. Dura lex, sed lex.

Forse qualcuno, lassù, benché in ben più importanti faccende affaccendato, quel 9 novembre 1988 scrutò Belgrado e decise di conseguenza.

Oppure, se volete, potete affermare che quella nebbia fu una delle “sliding doors” (porte scorrevoli) di cui è zeppa la storia (non solo calcistica e non solo sportiva).

Molto più semplicemente, quella sfida fu vinta dalla squadra migliore: una volta tanto, le cose andarono come dovevano andare.

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