I miei primissimi ricordi del termine ‘Tennis’ sono indissolubilmente legati ad Andre Agassi.
Chi è stato un bambino in quegli anni, come il sottoscritto, ricorderà con affetto e (molta) nostalgia quei tempi in cui una folta chioma bionda sfidava il tempo e lo spazio con una racchetta che a noi sembrava una spada laser.
E poco importa se (ancora) non riuscivamo a capire le regole di uno degli sport più belli del mondo. Per noi il Tennis era Agassi ed Agassi era il Tennis.
Certo, anche all’epoca avevamo, più o meno tutti, quell’amichetto che voleva fare il figo simpatizzando Sampras, ma faceva parte della minoranza. Ci rifacevamo con i cugini più grandi, e ben più esperti di noi, che aspettavano le gare del fuoriclasse di Las Vegas così come una zia ultraottantenne aspetta la messa della domenica mattina.
Era una sorta di appuntamento catartico. Immancabile. Agassi è stato un meteorite. Un’icona pop capace di arrivare a chiunque.
Nei vicoli di Napoli, la mia città, ho visto ragazzi accantonare decine e decine di vecchi Super Santos per una racchetta simile a quella del vecchio Andre, tanto per fare un esempio. Col senno di poi, si potrebbe sottolineare, senza timore di smentita, che Agassi abbia influenzato non solo molti dei tennisti arrivati dopo di lui, ma anche e soprattutto, molti personaggi dello showbusiness.
Del resto, stiamo parlando di uno che si presentava a Wimbledon con degli shorts denim stracciati e la barba incolta.
Che faceva spot pubblicitari con i Red Hot Chili Peppers e che usciva con alcune delle donne più belle del pianeta. Roba che a raccontarla oggi sembra fantascienza.
Forse il paragone sembrerà irriverente, ma per chi scrive, Agassi ha rappresentato per il Tennis ciò che Michael Jordan ha rappresentato per il Basket a stelle e strisce.
Due campioni che sono stati amati dalle masse ancor prima dello Sport che praticavano e che andavano a rappresentare. Con buona pace di McEnroe e di Magic Johnson. Agassi ha rappresentato un periodo storico.
Un’era. Come si è soliti dire per le postar del mondo musicale.
Provate, anche solo per un attimo, a ricordare le sue giocate più epiche, i suoi rovesci bimani, i suoi attacchi sotto rete atti a mortificare i servizi potenti dell’avversario di turno: vi accorgerete, inesorabilmente, di accompagnare quelle immagini con qualche pezzo dei Motley Crue o degli Ultravox o di chi amavate ascoltare, magari con il vostro vecchio walkman, in quel periodo. Già.
Perché come tutti i campioni che hanno segnato un’epoca, Agassi è diventato quasi un aggettivo. Una definizione. Un genere.
Del resto, non mi sorprenderebbe se, in una qualche futura estate, uno dei pezzi più in voga nelle radio, s’intitolasse proprio “Disco Agassi”. Dite che esagero?