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Come facevamo a pomiciare negli anni ’80?

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pomiciare

Il titolo corretto sarebbe: come facevo a pomiciare IO negli anni 80?

Fin da molto piccolo ho sempre avuto una sfrenata passione per le ragazze.
Mi innamoravo di continuo.
In un periodo in cui tutti i bambini avevano più o meno la stessa pettinatura, capelli corti ma non rasati – altrimenti eri un nazi – io mi distinguevo con un folto caschettone, alla stregua di Caterina Caselli.
Mi scambiavano sempre per una bambina, anche fino ai 6-7 anni.
Però piacevo molto, probabilmente perché ero diverso dagli altri, e avevo sempre la morosa, fin dalla prima elementare.

Ora dirò una cosa molto banale che spesso si sente ai giorni nostri.
I giovani di oggi ‘bruciano’ le tappe a livello sessuale.
Non avrete la soddisfazione di sentire da me alcuna parola di condanna.
Solo una frase mi viene in mente: “BEATI LORO!”. AI nostri tempi eravamo molto più lenti; io, in maniera particolare, ero lentissimo.

Ho sempre avuto una concezione stilnovista della donna.
Non che non ne fossi attratto, anzi.
Ma ho sempre visto la donna come un cristallo tanto meraviglioso quanto delicato. Qualcosa da coccolare, da curare, da proteggere e da contemplare.
Guardare ma non toccare.
Il problema è che fino all’età di 18 anni ho creduto che questo alle donne piacesse, salvo poi scoprire che in realtà non è esattamente così.
Passi la parte del coccolare, del contemplare eccetera, ma sul ‘non toccare’ non avevo proprio capito niente.
Il risultato è che all’età di 12 anni, esattamente in seconda media, avevo totalizzato un numero di ‘storie d’amore’, anche durature, che molti trentenni di oggi non possono vantare.
Ma non avevo mai baciato nessuna.
Qualche abbraccio, qualche carezza, persino una fugace camminata mano nella mano al riparo dagli sguardi indiscreti, ma niente di più.

E fu così che Elena, la mia ‘fidanzatina’ di allora che curiosamente si chiama come mia moglie ma non è lei, prese l’iniziativa.
E meno male che lo fece lei.

Ci mettemmo insieme – si usa ancora questa espressione? – la notte di Natale.
Quell’anno avremmo dovuto fare la Cresima, e quindi eravamo tutti seduti ai piedi dell’altare durante la veglia prima della messa di mezzanotte.
Tra me e lei almeno 5 coetanei, qualcuno assonnato e sicuramente tutti annoiati.
Così pensai di movimentare la serata facendo partire un clamoroso telefono senza fili. “Chiedi ad Elena se si vuole mettere con me”.
Il messaggio arrivò senza intoppi e tornò in un baleno. “Sì”. Quello sì che fu un Natale coi fiocchi, anche se non nevicava…

Come avrete capito ero molto forte nel corteggiamento, ma totalmente imbranato in tutto ciò che accadeva dopo. Quella sera neanche mi avvicinai e aspettai a lungo un momento che non arrivò mai. Dopo la messa lei raggiunse i suoi genitori e senza dire una parola né rivolgermi uno sguardo se ne tornò a casa.

Il giorno successivo ricevetti come regalo un giubbotto jeans, un walkman e il Greatest Hits 1 dei Queen. Erano proprio gli anni 80 e mi sentivo irresistibile. Sfidai la temperatura prossima allo zero e uscii allo scoperto.
Abitavamo vicini, diciamo un paio di centinaia di metri. Credo di avere fatto venti volte il giro dell’isolato sperando di vederla attraverso una finestra di casa sua. Ma nulla. E così per tutti giorni successivi.
Ho passato tutte le mie vacanze di Natale passeggiando davanti a casa sua, congelando nel mio giubbotto jeans e ascoltando i Queen con il mio walkman, senza mai vederla. Conosco tutte le canzoni a memoria; le avevo imparate talmente bene senza sapere l’inglese che persino oggi che l’inglese lo parlo commetto gli stessi errori di allora: non c’è niente da fare, canto ancora “Enader uan bast te dast!”.

Il 7 di gennaio la rividi a scuola. Eravamo coetanei, ma lei frequentava l’altra sezione. Era stata al mare, in Liguria, a passare tutte le sue vacanze.
E il mio terrore svanì con il sorriso con il quale mi accolse: eravamo ancora insieme.
Iniziarono così mesi veramente indimenticabili.
Il carnevale vestiti da punk ricoperti di schiuma da barba, il nostro primo San Valentino in casa sua in cui spense completamente le luci sperando probabilmente in una mia mossa, che non si verificò. I nostri ritrovi clandestini alle 11.30 fuori dai bagni della scuola media.
E poi finalmente prese l’iniziativa in maniera seria: ma orgogliosa e testarda qual era, non si limitò a baciarmi senza preavviso. Esigeva che io avessi una parte attiva.
Eravamo al campo di calcio e posso dire con certezza che era il 3 di aprile, una data ben fissa nei miei ricordi.
E lei aveva in mano un altro simbolo degli anni 80: il Cioè. Mi guardò e mi disse: “Voglio fare una cosa che si vede dentro questo giornale”. Me lo passò e aggiunse: “Indovina cos’è”.

cioeRicordate quando ho detto che ero lento? Ecco, io pensavo volesse farsi i capelli come una ragazza presente nel giornale. Proprio non ci arrivavo. Lei si spazientì, mi lanciò addosso il giornale urlando: “Pagina 35, scemo!!!!!”, e si allontanò dandomi le spalle. Aprii la pagina e vidi due che si baciavano. Veramente non avevo capito, e ricordo ancora il cuore che iniziò a battere fortissimo arrivandomi in gola. Avevo paura, ma desideravo farlo. La cosa veramente incredibile è che fino a quel momento non avevo mai pensato di baciarla. Mai. Stavo bene con lei, sarei stato con lei ogni secondo della mia giornata, ma non avevo mai pensato di baciarla.

Ci mettemmo uno davanti all’altra. Prima distanti, poi ci avvicinammo. Io mi misi a ridere e lei ci rimase un po’ male. Poi divenni serio e feci un deciso passo in avanti. Fu lei a ridere quella volta e la tensione si sciolse. Non so dire quanto durò quella danza, ma sicuramente non poco. E poi ci baciammo.

Ovviamente fu orribile. Orribile e allo stesso tempo dolcissimo.
Ricordo che fu lei a mettere anche un po’ di lingua e la sensazione non mi piacque per niente, almeno all’inizio. Per quello non ricambiai. Poi ci sorridemmo e tornammo a casa senza dire una sola parola. Avevamo fatto un passo importante, ma come ho avuto modo di dire più volte, io ero molto lento. Non avevo capito che da quel momento in poi lei si aspettava che ci baciassimo tutti i giorni. Non fu così, e ci lasciammo circa un mese ed esattamente un bacio dopo. Un bacio che questa volta mi rubò, lo stesso giorno in cui ci lasciammo, mentre stavamo litigando.

Se oggi mi riguardo indietro una parte di me vede un sacco di occasioni sprecate per fare un po’ di, chiamiamola così, esperienza. Perché la lentezza mi ha caratterizzato per tanto tanto tempo ancora. Però ha fatto di me ciò che oggi sono, e ciò che oggi sono mi ha portato esattamente quello che oggi mi rende felice.

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