Con Hideo Azuma se ne va un bel pezzo di anni Ottanta.
Perlomeno nel mondo dei cartoni animati, che non è comunque mai un mondo separato dal mondo reale, qualunque siano le storie che racconta.
E infatti i veri anni Ottanta per i cartoni animati non sono quelli dei robottoni alla Goldrake e Mazinga, nati negli anni Settanta e figli della psicosi della traumatica fine della guerra mondiale con la bomba atomica sul Giappone.
Ma anche nel Paese del Sol Levante all’alba del decennio nuovo c’è voglia di leggerezza, e così arriva un’ondata di cartoni animati che rappresentano l’altra anima del Paese, quella scanzonata e un po’ pazza, rappresentata dai manga di autori come Fujiko Fujo (Doraemon, Carletto principe dei mostri), Akira Toriyama (Arale e Dr. Slump, Dragonball) e appunto Hideo Azuma (Nanà Supergirl, C’era una volta… Pollon), che vengono trasformati in cartoni animati di enorme successo.
Se Nanà Supergirl (1980-1985 il manga, 1983 la serie animata, in Italia dal 1984) ancora rientrava nel più prevedibile genere della “fantascienza-nonsense”, partendo da uno spunto classico (ragazza con superpoteri ma senza memoria) e popolandolo di personaggi improbabili come Re Pannocchione, è con Pollon che Azuma ha un autentico colpo d’ala, abbandonando il futuro alternativo per reinventarsi il Pantheon dell’antica Grecia.
In un Paese saturo di classicità come il nostro la serie “C’era una volta Pollon” (1982 in Giappone, 1984 in Italia) era inevitabilmente destinata a suscitare interesse; ma il modo in cui Azuma la rende una specie di telenovela per bambini è veramente geniale: Zeus donnaiolo, Era in baby doll e calze a rete, Poseidone che non sa nuotare o il ronzino Dosankos restano indimenticabili.
Questo bizzarro cartone animato che mescola e contamina mitologia greca, cultura giapponese e immaginario pop occidentale diventa così un “instant classic” che lascia un segno indelebile sulliimmaginario collettivo (alzi la mano chi, quando si parla di Apollo, pensa a Canova o Bernini anziché al padre di Pollon).
Dopo il successo giovanile (nel 1979 il suo “Fujôri Nikki” vince il premio Seiun come miglior manga di fantascienza), Azuma entra in una profonda crisi personale.
Come tanti autori “comici”, nasconde dietro l’allegria esteriore un disagio profondo, e al termine di Nanà Supergirl inizia ad avere problemi di depressione e alcolismo.
Alla fine del 1989 scompare per mesi, abbandonando il lavoro e la famiglia per fare una vita da senzatetto, e arriva a tentare il suicidio. Si riprende solo dopo anni, riuscendo a vincere i suoi demoni e a raccontarli come sapeva fare: a fumetti, con il premiatissimo “Diario della mia Scomparsa”.
“La realtà per me era così dura,” racconta Azuma, “che a un certo punto della mia vita mi sono rifugiato nell’alcool. Tuttavia essere diventato un alcolizzato ed essere stato ricoverato in ospedale si è rivelata un’esperienza preziosa. Se riesci a superare la fame e il freddo, la vita da senzatetto è piena di momenti piacevoli, visto che si è completamente liberi, non si hanno obblighi né limitazioni.”