Sembra incredibile, ma anche i giapponesi a volte chiedono consiglio. Persino – sebbene il caso sia ancora più raro – quando si parla di moto.
Alla fine degli anni ’70, Suzuki aveva esaurito un ciclo ed era quindi in cerca di nuove direzioni.
Il management giapponese decise di guardare in Europa e chiese consiglio a un gruppo di designer tedeschi, capitanati da Hans Muth che si era fatto notare per il suo lavoro sulle BMW (altra azienda rimasta a lungo al palo, e bisognosa di cure radicali).
Il team tedesco sviluppò una concept bike chiamata ED-1 (“European Design-1”, giusto per farsi capire dai giapponesi), presentata nel 1979 e seguita nel 1980 dalla ED-2, basata sulla meccanica di una “normale” Suzuki GS 1100: ma rivoluzionaria nell’impostazione.
Battezzata Katana, come la spada dei samurai, nasceva per essere l’interpretazione europea di una sportiva giapponese, ma si rivelò molto di più. Con la sua mezza carena quasi senza cupolino, le linee nette e il forte sbalzo tra il piano della sella e quello del serbatoio, la Katana cambiò per sempre le regole del gioco, inaugurando l’era delle moto che si guidano stando seduti “dentro” anziché “sopra” (era che sostanzialmente prosegue a tutt’oggi) e ridefinendo l’estetica, che era fin lì stata soprattutto tondeggiante e divenne affilata, in perfetta coerenza col nome.
La vita delle aziende è sempre ciclica; così, negli ultimi anni Suzuki ha vissuto un nuovo periodo di confusione dopo aver esaurito un altro ciclo, lungo un quarto di secolo e legato all’erede della Katana: la GSX-R del 1986.
Per rialzare la testa ha pensato di ripartire dalla Katana, rivolgendosi di nuovo all’Europa (all’Italia, stavolta: il nostro bravo Rodolfo Frascoli) per tracciare le linee di quello che oggi è un “remake”, ma che conserva tutto il fascino della moto originale e tutto il sapore degli anni Ottanta, che la Katana ha incarnato in maniera indimenticabile.