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TOTO CUTUGNO, UN’OUTSIDER VERO

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Toto Cutugno non è mai stato un tipo banale.

Si riteneva un’outsider. Della musica e dello showbusiness in generale. Come Totò, come Sylvester Stallone.

Non a caso, due fra gli attori più amati dal cantautore originario di Fosdinovo. Forse perché, proprio come lui, si erano fatti da soli ed erano un po’ avversi ad un certo tipo di stampa e di critica.

Gli Anni Ottanta sono stati il suo regno. Il suo tuffo nella piscina d’oro del mainstream italico. Dal primo (e unico) trionfo a Sanremo con “Solo Noi” all’enorme successo riscosso da quel pezzo(ne) nazionalpopolare che è “L’Italiano”.

A Toto Cutugno piaceva la musica senza fronzoli. Quella che arriva contemporaneamente sia ai bambini che alle Nonne. Provate a chiedere a chi ha vissuto quegli anni magici. Toto Cutugno era un’istituzione. Un totem. Un’icona del belpaese.

Come “la schedina fra le dita” di “Una Domenica Italiana” o come i “Fantastico” di Pippo Baudo. Nonostante il successo, nonostante il suo essere diventato una sorta di divinità nei paesi dell’est Europa (in Russia, soprattutto), Toto Cutugno non si sentiva compreso appieno. E se spulciate qualche sua vecchia intervista dell’epoca, capirete quanto ne soffrisse.

Dietro quello sguardo sempre un po’ malinconico e dietro quel sorriso timido, si nascondeva un artista poliedrico. Un musicista di razza. Uno che era capace di scrivere “Soli” per Adriano Celentano e di divertirsi allo stesso tempo con un brano come “Mi Piacerebbe (Andare Al Mare… Al Lunedì)”, che suona moderno e stralunato ancora oggi. Toto Cutugno non aveva l’aurea poetica di Dalla, né la simpatia rassicurante di Morandi, ma arrivava nelle case degli italiani con una facilità disarmante.

Grazie al suo innato carisma e ad un fascino vintage da signore d’altri tempi. Tant’è vero che ha funzionato (parecchio) anche come personaggio televisivo. Qualche giorno fa, sono andato a rivedere una sua vecchia apparizione durante una strepitosa edizione di “Domenica In” presentata da Raffaella Carrà.

In quel filmato di un quarto d’ora circa, c’erano tutta la classe ed il garbo della televisione di allora e tutta l’ancestrale signorilità di due autentici fuoriclasse della cultura pop italiana. Toto Cutugno non le mandava a dire. O, almeno, non in quelle sei edizioni del Festival di Sanremo in cui si è piazzato (talvolta ingiustamente) al secondo posto.

Prendete quella del 1987, per esempio. Siamo così sicuri che se “Figli” fosse stata cantata da un artista con le stimmate da intellettuale non avrebbe potuto vincere il premio della critica? Certo, sono domande che lasciano il tempo che trovano.

E che nulla aggiungono alla comunque grande carriera di Cutugno, ma ogni tanto fa sempre bene porsele. Ad ogni modo, niente potrà cancellare l’unicità di un artista nazionalpopolare – nella migliore accezione possibile del termine – ed allo stesso tempo fuori dagli schemi.

Toto Cutugno, un’outsider vero.

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