Nascono Huang Chung come band new wave e diventano successivamente Wang Chung seguendo il sound new romantic ed electro pop.
Vi siete mai chiesti l’origine del nome? Huang chung in cinese indica la prima nota delle scale musicali cinesi, simile al nostro Do, ma nel 1983 i discografici suggerirono di cambiare il nome del gruppo per renderlo più semplice a chi parlava inglese.
L’album d’esordio prodotto dall’etichetta Arista “Huang Chung” è un flop, ma il successivo “Point on the Curve” è un incredibile successo, grazie anche alle sapienti mani di Chris Hughes, già produttore di Tears for Fears e Adam and the Ants.
L’album contiene la hit “Dance hall days”, in realtà lanciata con scarso successo nel 1982, ma nell’anno seguente, durante la lavorazione del nuovo album ne incisero una nuova versione, diventando ben presto una hit a livello mondiale.
“Dance Hall Days” racconta di giorni felici in cui il protagonista passava giornate e serate nelle sale da ballo. È anche una canzone autobiografica, poiché il padre di Jack Hues, leader dei Wang Chung (che in realtà si chiama Jeremy Ryder, e prende il nome d’arte dallo “J’accuse” di Emile Zola), suonava nelle sale da ballo quando il figlio era piccolo, e quando Jack iniziò a suonare, seguì e accompagnò il padre nelle sue serate danzanti.
Iconico anche il video musicale ambientato in una sala da ballo, con i Wang Chung che suonano; il videoclip inizia e finisce in bianco e nero fuori dalla sala e diventa a colori quando Jack Hues si trova all’interno.
Grazie al singolo la band ebbe un grande successo nel Regno Unito, patria della band, ma il punto di svolta fu la proposta di scrivere la colonna sonora del film “Vivere e morire a Los Angeles” (1985) da parte del regista William Friedkin.
In una recente intervista a Starburst Magazine, Jack Hues ha rivelato che i Wang Chung si stavano prendendo una pausa quando ricevettero la chiamata dal regista William Friedkin con la proposta di partecipare alla colonna sonora del suo film. Una “grande opportunità” ha dichiarato il cantante, che l’ha definita anche “un’esperienza liberatoria”, visto che stava lavorando a una canzone che poi è diventata la colonna portante della soundtrack di un film di successo.
Il regista ha motivato la scelta della band dichiarando: “il loro suono si distingueva dal resto della musica contemporanea, ciò che alla fine hanno registrato non solo ha migliorato il film, ma gli ha dato una dimensione più profonda, più potente”.
La colonna sonora “To Live and Die in L.A” scritta, composta e interpretata interamente dai Wang Chung, è il terzo album della band e il secondo con la Geffen Record. Il singolo “To Live and Die in L.A.” è arrivato al quarantunesimo posto della classifica americana Billboard Hot 100 nel 1985.
La canzone è ritornata in auge proprio nel 2024 poiché utilizzata come sigla di testa del talk show in sei episodi targato Netflix “Everybody’s in LA”.
Da lì in poi i Wang Chung grazie al film ebbero successo soprattutto in America, con una nomination agli MTV award, vinti però dagli Eurythmics con il brano “Sweet dreams (are made of this)”.
Nel 1985 continua la loro strada nel mondo del cinema, il loro brano “Fire in the twilight “viene scelto ed entra a far parte della colonna sonora dell’iconico teen movie “The Breakfast Club “.
L’album “Mosaic” del 1986 è il loro album di maggior successo commerciale, con una serie di singoli da top ten.
La band durante gli anni ha l’abilità di spostarsi rapidamente nei generi musicali, abbracciando la dance ed eliminando la sperimentazione presente nel loro sound degli esordi.
Nel 1989 incidono “The Warmer Side of Cool” che li trasforma in un gruppo digital rock, prevedendo e anticipando il cambiamento musicale degli anni 90, ma perdono totalmente la loro identità e con essa anche il grande pubblico.
La band inevitabilmente si scoglie e si riformano solo nel 1997, entrando a far parte del movimento dei tour nostalgici, ripescando i loro successi e ristampando inediti e versioni alternative dei loro brani per la felicità dei collezionisti.
Nel 2019 esce “Orchesography”, album realizzato con l’orchestra filarmonica di Praga che contiene non solo i loro successi, ma anche canzoni meno conosciute del loro repertorio.
Durante un intervista Jack Hues parlando dell’album “Orchesography” ha dichiarato: “abbiamo riregistrato tutto, è una vera e propria rielaborazione di tutto, portando l’orchestra al centro del quadro, invece di essere una sorta di costosa decorazione”.
Insomma, per quanto passi il tempo, quello per le sale da ballo e per le orchestre è una passione che rimane viva nella band.
Articolo apparso sul quotidiano Libertà.