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Wrestler: ieri e oggi

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Wrestler
Definire cosa sia il wrestling non è semplice.

Ancor meno semplice è descrivere cosa porti un adulto (?) maturo (???) e tutto sommato esigente come il sottoscritto a seguire per decenni questa disciplina che è fatta per un 30% di incredibili performance atletiche-autolesive e da un 80% di recitazione pseudoteatrale, dozzinale e intrisa di cattivo gusto. “Scusa, ma il totale è 110%!” Esatto, questo è il wrestling.

Molta acqua è passata sotto ai ponti dal XIX secolo, i tempi delle fiere di paese e dei circhi itineranti in cui nacque il wrestling. In questi anni il “linguaggio del wrestling” è diventato via via più raffinato, scrivendo una storia a sé esattamente come è successo per altre forme d’arte. Non entrerò nel merito perché richiederebbe una disquisizione che poco si confà alla vocazione di intrattenimento del wrestling (del resto stiamo sempre parlando di energumeni che se ne vanno in giro a saltellare in tutine sgargianti)… cercherò invece di rispondere ad una semplice domanda: che fine hanno fatto i lottatori che tanto ci appassionavano negli anni 80?

Akeem


Con alle spalle una carriera solida (durante la quale si fece conoscere con il nome di One Man Gang, un delinquente di strada), nel 1988 fu creata per lui un’identità “comedy” ma davvero originale, che però non mancò di generare parecchie polemiche: in un episodio di WWF Superstars, attorniato da diverse persone di colore vestite con abiti tribali africani che danzano e cantano davanti ad un fuoco improvvisato in un ghetto malfamato di una città americana, il corpulento lottatore annuncia di aver scoperto le proprie radici africane. Da quel momento si sarebbe fatto chiamare Akeem, The African Dream, assumendo accento ed atteggiamenti afroamericani fortemente stereotipati, iniziando finalmente ad entrare nel giro che conta e combattere contro i principali nomi dell’epoca. Interessante notare come il personaggio sia l’ennesima provocazione (ma sarebbe più corretto dire “perculata”) da parte della WWF nei confronti di Dusty Rhodes, The American Dream, che in quel periodo era una figura chiave della federazione rivale NWA.
Oggi, dopo aver peregrinato per diverse federazioni (via via di minor prestigio), lavora come guardia carceraria e partecipa saltuariamente a convention, interpretando il bizzarro ruolo che lo ha reso celebre.

André The Giant


Icona francese, acromegalico e, per l’appunto, gigante. André Roussimoff è stato una vera e propria leggenda vivente e detentore di diversi record; la sua fama non è stata scalfita dal passare del tempo, grazie anche a incursioni nel mondo del cinema (chi non ricorda Fezzik de La Storia Fantastica?) o a gesta epiche fuori dal ring (come quella volta che bevve 26 litri di birra in una sola serata). L’Ottava Meraviglia del Mondo, con i suoi 236 centimetri di altezza ed un peso di oltre 200 chilogrammi (dichiarati) è stato una delle figure più riconoscibili della disciplina, ma sarà proprio la peculiarità del suo corpo a minarne la salute e portarlo alla morte nel 1993. Una vita breve ma intensa, che richiederebbe molte più parole di quante possano essere scritte qui; per questo vi consiglio la visione dell’ottimo documentario di HBO Sports del 2018. Oggi le sue ceneri riposano presso il ranch di famiglia in North Carolina.

Big Boss Man


“Se dovessi fare un viaggio fino a Cobb County in Georgia faresti meglio a leggere i segnali stradali. Rispetta la legge e l’ordine. Ti meriti tempi difficili” recita la sua canzone d’entrata, mettendo in guardia pubblico ed avversari sulle intenzioni del corpulento (ma agilissimo) poliziotto sudista. Raymond Taylor è stato un altro dei protagonisti di quella che viene considerata la “Golden Age of Wrestling” nella seconda metà degli anni 80, quando praticamente ogni categoria lavorativa o sociale aveva un lottatore che la rappresentasse: praticamente come i Village People, ma con (ancora più) testosterone. Dopo aver esordito nei panni di un poliziotto corrotto e dai metodi violenti, grazie a un carisma fuori dal comune diventa in poco tempo uno dei beniamini del pubblico e passa dalla parte dei buoni, diventando un difensore della legge. La sua carriera prosegue fra alti e bassi fino al 2004, quando un infarto lo stronca a soli 41 anni. Nel 2016 è stato introdotto (meritatamente) nella Hall of Fame della WWE.

Brutus “The Barber” Beefcake


Gli addetti ai lavori hanno sempre considerato Edward Leslie come il più raccomandato fra i wrestler della sua generazione. E’ innegabile che l’amicizia fraterna con Hulk Hogan abbia contribuito enormemente al suo successo, ma va riconosciuto al barbiere pazzo di aver interpretato con maestria un soggetto stravagante, intrattenendo milioni di persone. Gli anni 80 per lui si chiudono in malo modo, quando una ginocchiata (stavolta vera) in pieno volto durante una corsa sugli sci d’acqua gli costerà la faccia. Letteralmente. Tornerà a lottare nel 1993 e successivamente seguirà Hogan nella nascente WCW, dove interpreterà personaggi insulsi. Oggi vive in semi-ritiro, partecipando di tanto in tanto a eventi e lottando match di coppia assieme al suo storico partner Greg “The Hammer” Valentine.

Demolition


Se non il più grande team della storia, sicuramente quello con la theme song più bella. Nati per ovviare al mancato ingaggio da parte della federazione dei Road Warriors (che la WWE riuscirà finalmente a convincere nel 1990, rinominandoli però “Legion of Doom”), i due demolitori furono costruiti prendendo a riferimento l’estetica post-apocalittica tanto in voga negli 80s. Ax e Smash non avrebbero di certo sfigurato in Mad Max oppure al fianco di Ken Shiro. Dopo un debutto in sordina nel 1987, vengono affiancati al mitico manager Mr. Fuji e conquistano le cinture di campioni, che manterranno per un periodo record di 487 giorni. Il declino si ha già dagli inizi degli anni 90, quando per motivi di salute di Ax venne aggiunto un terzo membro (Crush). Nel 1991 il team si scioglie per poi riformarsi nel 2007 in ambito di federazioni indipendenti. Fuori forma, avanti con gli anni ma con un carisma intatto e pronti a combattere… soprattutto una battaglia legale con la WWE, prendendo parte ad una class action assieme ad altri colleghi ex dipendenti (motivo per il quale la federazione ha praticamente cancellato ogni riferimento al loro passato, optando per un revisionismo storico abbastanza ridicolo). A noi rimangono le emozioni dei loro incontri e la grande musica di Rick Derringer.

“Hacksaw” Jim Duggan


“U-S-A, U-S-A!” Da sempre il wrestling è intriso di patriottismo, che alla fine altro non è che un elegante sinonimo di “nazionalismo”. Gli atleti ad alto tasso di “americanità” hanno sempre combattuto dalla parte dei buoni, contro cattivi parodistici provenienti da nazioni ostili, a volte addirittura in momenti in cui la situazione politica internazionale lo avrebbe sconsigliato. Jim Duggan ha (quasi sempre) interpretato il prototipo di americano del ceto medio, lavoratore, cristiano, altruista… ma con qualche problema di autocontrollo, il che non è una buona cosa se vai in giro con una spranga di legno. Non ha mai vinto titoli importanti ma questo suo essere “lo zio buono e un po’ matto” lo ha reso talmente acclamato da non averne bisogno. Va ricordato, però, che è lui il vincitore della prima, storica Royal Rumble nel 1988. Nonostante qualche problema di salute, ancora oggi lo si può trovare sul ring di federazioni indipendenti o come ospite durante gli show televisivi “amarcord” della WWE.

Honky Tonk Man


“La gente dice che assomiglio ad Elvis Presley… non ho idea di chi sia questo Elvis“. La cifra della faccia tosta di Roy Farris, o meglio, del fantastico personaggio da lui interpretato è tutta in questa affermazione. Dopo aver esordito in federazioni territoriali di Memphis, nel 1986 firma un contratto con la WWE che lo propone come “face”, un lottatore buono che nelle intenzioni sarebbe dovuto essere beniamino delle folle. Il pubblico americano, invece, interpretò l’imitazione di Elvis come un affronto alla sua memoria e voltò le spalle quasi immediatamente al lottatore. Nel 1987 sconfigge Ricky “The Dragon” Steamboat divenendo il più longevo Intercontinental Champion di sempre, mantenendo la cintura per un tempo record di 452 giorni consecutivi. Per difendere il titolo, Honky sfruttò al massimo la regola che stabiliva che un titolo potesse passare di mano solo per schienamento o sottomissione, facendosi spesso contare fuori dal ring o squalificare e rendendo ancora più irritante il suo regno. Nel 2019, fresco di introduzione nella Hall of Fame, di tanto in tanto sale sui ring del profondo sud a spaccare chitarre sulla testa degli avversari.

Hulk Hogan


Icona al pari dello storico rivale André the Giant e con una carica comunicativa in grado di valicare i confini della disciplina. Non ho mai sopportato Hogan; non sopportavo il personaggio e con gli anni, approfondendo la conoscenza dei meccanismi “politici” del backstage, ho iniziato a non sopportare anche l’uomo. Va però riconosciuto a Terrence Bollea di essere diventato la rappresentazione vivente del wrestling, dosando con maestria cultura del corpo, carisma, immagine e buonismo nazional-popolare. La sua carriera e la sua vita privata sono talmente straripanti di titoli, rivalità ed aneddoti che servirebbe un intero articolo per analizzarli (e chissà che un giorno…); occorre però citare almeno la comparsata in Rocky III (come Thunderlips), la Rock N’ Wrestling Connection con Cyndi Lauper e le numerose incursioni in altri media (cinema, TV, cartoni animati e addirittura videogiochi). Senza contare le leggende che aleggiano attorno alla sua figura, molte delle quali alimentate dallo stesso Hogan: sapevate che è stato il primo bassista dei Metallica? No? Nemmeno loro, ma il baffuto sostiene ancora oggi la veridicità della sua storiella. E poi i processi: quello per uso di steroidi, quello contro la ex-moglie (per una storia di corna durante il reality “Hogan knows best”) e quello più recente per diffamazione contro il sito scandalistico Gawker, che lo ha visto uscire vincitore (multimilionario…) come parte lesa. Infine quell’aspetto così riconoscibile e caratteristico, immutato negli anni (dimostrare 60 anni quando ne hai 25 ha i suoi vantaggi), con baffoni da motociclista, lunghi (ma pochi) capelli biondi e i sempre sbandierati “pitoni”, bicipiti da 24 pollici. Insomma, con una vita così intensa l’Hulkster può fregiarsi del titolo di unico wrestler a non aver mai conosciuto l’oblio dell’essere fuori dal giro che conta… sarà stato forse merito di tutte quelle preghiere e vitamine?

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