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1985-2024. USA for AFRICA 40 anni dopo. Fu vera gloria?

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USA for AFRICA
Un esercito di 45 talenti, tra solisti e band, che sostanzialmente occupavano stabilmente le prime 45 posizioni delle chart di vendite di dischi.

Un super progetto, organizzato da un mix di stili e di ispirazioni musicali che andavano dalla stella del pop Michael Jackson, al Re del “calypso“ Harry Belafonte, artista particolarmente impegnato nel campo dei diritti civili, all’idolo del country western Kenny Rogers e l´idolo del pop-rythm and blues Lionel Richie.

Unico membro del progetto datato 1985 “USA for AFRICA“: Bob Geldof. Il rocker irlandese che solo pochi mesi prima era stato l´ispiratore di Band Aid e lanciato il singolo “Do They Know it´s Christmas?“.

Narra la leggenda che fu Herry Belafonte il primo ad avere l’idea di “copiare“ il successo di Band Aid, mentre stava vedendo in TV PaulMcCartney, Sting, Bono, George Michael, I DuranDuran cantare la canzone scritta da Geldof, un frontman semisconosciuto che aveva avuto i suoi 15 minuti di celebrità qualche anno prima con la sua band – I Boomtown Rats – cantando il pezzo: “I don’t like Mondays“.

Belfonte si attaccò al telefono per convincere il suo agente, Ken Kragen, che era anche agente di Lionel Richie e Kenny Rogers, ad organizzare un Band Aid in salsa stelle e strisce.

Kragen ne fu entusiasta e chiamò immediatamente Lionel Richie (che era in un momento in cima a tutte le classifiche con la sua “Say You, Say Me“).
Come in una reazione a catena atomico-nucleare, anche Lionel accolse con entusiasmo l’invito e propose di scrivere una canzone a quattro mani con il suo amico Steve Wonder.

Serviva un produttore, ed anche in questo caso si puntò al “bersaglio grosso “: Quincy Jones, il produttore del mega successo Thriller, opera maestra di Michael Jackson.
Quincy era l’unico, del resto, che aveva il carisma, la personalità, il rispetto di tutta l’industria dello show business (da Sinatra a Jackson) e che avrebbe potuto tenere insieme una squadra di stelle assolute (e – soprattutto – il loro ego)

Michael Jackson accetto, a condizione però di formare parte della squadra che avrebbe scritto la canzone. Steve Wonder disse di avere problema di impegni già presi e non fece parte del team creativo … lasciando quindi che fossero Jackson e Richie ad occuparsi della stesura e la produzione di quella che sarebbe stata la nuova “do they know it´s christmas“.

Kenny Rogers mise a disposizione la sua sala di incisione mentre il team di musicisti furono quasi tutti reclutati tra le fila di quelli che avevano partecipato alla registrazione di Thriller.

Anche qui… solo il meglio del meglio…

La canzone fu registrata, con la voce guida di Michael. Ok… come fare in modo che anche gli altri artisti la ricevessero e la potessero ascoltare? Senza poter mandare files compressi, criptati, whatsapp…
Era il 1985 e il buon Quincy si dovette affidare ai piccioni viaggiatori del sistema postale americano! Furono realizzate delle cassette (si, le vecchie audiocassette!) ed inviate agli artisti coinvolti nel progetto perché ne apprendessero le parole, la musica…

Insieme alla musicassetta un biglietto, che recitava:

“Miei cari artisti: le cassette sono numerate. È molto importante che questo materiale non passi attraverso mani diverse dalle vostre. Per favore, non fate copie e restituite il nastro il 28 gennaio, quando ci riuniremo per registrare. Tra qualche anno, quando i vostri figli vi chiederanno cosa avete fatto contro la fame nel mondo, potrete dire, con orgoglio, che questo è stato il vostro contributo.”

Si, perché in tutto questo gigantesco turbinìo di artisti, cantanti, bands, produttori, musicassette… ci si era dimenticati che l´idea originale era quella di aiutare la gente dell’Etiopia che era stata colpita da una feroce siccità.

Ma era un dettaglio.

Torniamo alla registrazione del pezzo. Dicevamo che la voce guida era quella di Michael Jackson. Unica, soave, dolce ..e altissima! I colleghi sollevarono un gran polverone perché in realtà quasi nessuno riusciva a stare dietro alle note alte del più famoso componente dei Jackson Five!

La soluzione fu quella di alzare il volume della voce di Jackson, fare delle gran carrellate con la telecamera soffermandosi solo pochi istanti su ciascun artista e dare più spazio alle voci femminili. Dando invece spazio alle voci maschili nei passaggi meno alti.
Tanto, di nuovo, non era importante chi stesse cantando; più importante l’impatto dello show di 45 artisti globali, che cantavano insieme. Un all start game musicale, un Dream Team di ugole che avrebbero surclassato – per vendite ed impatto mediatico – i semidilettanti di sua Maestá!

Chi sarebbe apparso, a che punto della canzone e per quanti secondi, fu decisione insindacabile di Quincy Jones. Che curiosamente diede spazio anche a Dan Aykroyd… un non-cantante, forse rappresentante di Hollywood o forse per il successo che stava ottenendo il film Blues Brother. Un cameo del buon vecchio Elwood Blues…? Nessuno lo ha mai ben capito né spiegato!

Adesso un test di memoria: ma non rispetto all’elenco dei 45 presenti. Bensì un test relativo agli “assenti “.
Qualcuno ricorda quali furono le super stelle che NON parteciparono all’evento del secolo?

Vi aiutiamo noi:

Barbra Streisand. Inizialmente confermò… poi il suo manager disse che Barbra era in un momento particolare della sua carriera e che non le avrebbe giovato mescolarsi ad artisti di stili così diversi…

Madonna. Ufficialmente impegnata in un tour attraverso gli Stati Uniti. Inizialmente sembrò dovesse partecipare, ma un giorno prima della registrazione il manager cancellò tutto. Per poter partecipare alla registrazione, infatti, avrebbe dovuto cancellare almeno tre tappe in programma ed il manager (genio) scelse di continuare la tournée e non deludere i fans.

Eddy Murphie. Anche lui grande amico di Dan (Una Poltrona Per Due), che però si diniego spiegando che stava lavorando ad un suo disco. Che naturalmente nessuno ricorda.

Ma più di tutti, forse anche più di Madonna, a fare rumore fu la mancanza di Prince.

E sul punto si sono scatenate le voci e le interpretazioni più disparate e variopinte. Secondo alcuni, il principe voleva mettere nel pezzo un assolo di chitarra ma non gli fu permesso. Altri si ricordarono di uno scontro verbale con Bob Geldof di qualche tempo prima (bob lo aveva definito un “imbecille “). Altri ancora sostenevano che si trattava della fobia di Prince nel trovarsi in luoghi pieni di gente. E c’era anche chi era pronta a giurare che il motivo era la rivalità con Michael Jackson.

Chi ne fu beneficiato fu Huey Lewis che prese il posto accanto a Michael nel video duettando con il genio di Thriller e Bad, di fatto rilanciando una carriera che sembrava sul viale del tramonto!

Due parole sul Boss.
Bruce Springsteen fu l’unico a raggiungere gli studi di registrazione da solo, senza limousine. Senza avanzare pretese rispetto al punto della canzone nella quale volesse apparire, senza porre veti su chi dovesse apparire prima o dopo di lui come fecero altri. Accettò la sua parte, apparve in video con la sua voce graffiante, le vene del collo marcate, il suo sudore ed, inutile dirlo, fu uno dei momenti più belli della canzone e del progetto We Are the World.

A molti artisti la canzone non piaceva. Troppo commerciale, superficiale il testo e come ebbe a dire Cindy Louper (alla quale, durante la registrazione, venne chiesto di togliersi un paio di chili di collanine braccialetti e pendagli vari perché il loro tintinnare copriva la voce della canante) “più che una canzone sembra uno spot della Pepsi Cola“.

Qualche nota a margine…
A Bob Geldof venne riconosciuta la paternità del progetto e quando prese il microfono per ricordare a tutti quale fosse lo spirito del progetto, tutti annuirono e lo applaudirono. Ma quando una volta terminata la registrazione, si lamentò della esagerata quantità di cibo presente al catering (di extra lusso) che era stato offerto e la enorme quantità di cibo che sarebbe stata buttata, la reazione non fu altrettanto solidale. Disse infatti che quando registrarono a Londra, fu lui stesso ad andare al Kentucky Fried Chicken per comprare cosce di pollo da distribuire agli artisti.
Dicono che dopo quella uscita non gli fu più offerto il microfono, né lui volle più dire nulla.

Terminiamo con la domanda iniziale. Fu vera gloria? Noi siamo i posteri ed a noi spetta dare l’ardua sentenza?

Un gruppo di artisti irripetibile, il successo fu immediato e si vendettero milioni di copie di We Are The World.
Vinse premi di vendita, Grammy, e – secondo le intenzioni degli organizzatori – vennero raccolti oltre cento milioni di dollari. Finirono tutti nelle mani giuste?

Da oggi, 29 gennaio 2024, Netflix racconterà la storia di quel 28 gennaio 1985. La storia unica irripetibile di 45 stelle dello star system americano (e quindi mondiale) che si sono ritrovati negli Studios Hollywood A&M’s.

Fu quindi vera gloria?
Chissà… forse noi siamo ancora troppo affezionati a molte delle stelle di USA for Africa e non siamo ancora noi i posteri cui spetta l’ardua sentenza…

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