E chi se lo scorda quel 25 Giugno del 2009. Il mio 11 Settembre musicale.
È difficile racchiudere in un articolo tutta la grandezza di Michael Jackson. Tutto lo sgomento provato nelle ore in cui è stata annunciata la sua morte. Quel giorno si è chiusa un’epoca. Per me e per il mondo. Soprattutto per il mondo.
Già, perché il Re Del Pop non è stato “un cantante”. Michael Jackson è stato l’Artista. Non solo un grande ballerino. Non solo un idolo delle folle. Non solo un magnifico performer. Ma tutte queste cose messe insieme. E no. Nelle “liste” in cui compare il suo nome non andrebbero inseriti quelli degli altri musicisti.
Non me ne vogliano Prince, Madonna e gli U2, ma Michael ha sempre giocato un campionato a parte. Quello che inizia con Mozart e che termina con Charlie Chaplin, tanto per intenderci. Con buona pace della cosiddetta “cancel culture” e dei documentari fake. Stiamo parlando, del resto, di uno che negli Anni Ottanta/Novanta aveva una fama paragonabile solo a quella di Leonardo Da Vinci.
E di Babbo Natale. Michael Jackson, se vogliamo, ha un po’ anticipato pure l’ascesa di Obama. Sì, perché all’uscita di “Thriller” – il bestseller dei bestseller musicali – è stato il primo afroamericano a rompere le regole (assurde) delle barriere razziali di allora. La stessa MTV, per esempio, iniziò a trasmettere video di artisti neri solo dopo l’enorme successo di pezzoni quali “Billie Jean”, “Beat It” e “Human Nature”.
Una rivoluzione, insomma. Certo, Michael aveva le sue stranezze. Era una sorta di Peter Pan in un mondo spregiudicato e maledettamente cinico come quello dello showbusiness a stelle e strisce. Troppo fragile per reggere alle continue pressioni di discografici un po’ volponi e di un pubblico sempre più affamato di novità. Colpa di un’infanzia non proprio felicissima e di una fama arrivata nell’età della spensieratezza.
Per ciò che concerne la sfera prettamente musicale, invece, Jackson risulta ancora oggi – a distanza di quasi quindici anni dalla sua dipartita – un irraggiungibile totem. “Thriller”, “Bad” e “Dangerous”, infatti, rappresentano tutt’ora la sacra trilogia di un Artista che nel suo apice è riuscito a raggiungere delle vette sonore difficilmente replicabili da chiunque altro. E cosa dire dei suoi epici cortometraggi?
Da quello iconico e metropolitano di “Bad” a quello più globale e pieno di significati simbolici di “Black Or White”, si tratta di vere e proprie mini-pellicole cinematografiche realizzate da dei registi di culto che rispondono ai nomi di John Landis, Martin Scorsese, Spike Lee, solo per citarne alcuni. All’inizio dei 90s Michael ha salvato persino l’halftime show del Super Bowl. O meglio, lo ha quasi inventato.
Prima di lui, infatti, lo show che avviene durante l’intervallo della finalissima del campionato nazionale di football americano, non aveva la stessa valenza (e lo stesso appeal) dei nostri giorni. Fino all’esibizione del King Of Pop, naturalmente. Ritornando a quella fatidica sera di Giugno del 2009, ricordo che stentavo a crederci. Fissavo il televisore con lo sguardo perso di chi ingenuamente sperava ancora in un colpo di scena. O, almeno, nell’ennesima magia di un Artista che aveva reso più sopportabili alcune giornatacce vissute da adolescente.
Mi consolava il fatto che – come tutte le grandi opere – le sue canzoni sarebbero durate in eterno. Come certi quadri di Caravaggio. Come la Monnalisa. Più che altro, allora come oggi, immaginavo Michael camminare sulla luna.