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Il Natale Anni 80 di Napoli

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Napoli
Partiamo subito da un presupposto fondamentale: nella Napoli degli Anni Ottanta il Natale lo si iniziava a celebrare dall’otto dicembre in poi.

O, almeno, non a metà novembre con dei post su Instagram.

Nel giorno dell’Immacolata, infatti, la città partenopea iniziava a riempirsi di luci e lustrini, e così fino all’arrivo dell’Epifania. Probabilmente si trattava di una Napoli più “esotica” e folkloristica rispetto a quella borghese di oggi, ma magicamente edonista.

Durante il pranzo della Vigilia, guai a saltare il rituale – quasi mistico – della pizza di scarola.

Mentre i “must” canonici (televisivi/culinari) del cenone erano rigorosamente tre: “Natale In Casa Cupiello”, “La Spada Nella Roccia” e gli immancabili spaghetti coi lupini. Tanto per cominciare, ovviamente. Non si badava molto all’”impiattamento”. Più alla sostanza.

“Masterchef” ed i suoi “mappazzoni”, del resto, sarebbero arrivati sugli schermi delle tv nazionali moltissimi anni dopo. I bambini napoletani dell’epoca “identificavano” il periodo delle festività natalizie attraverso due luoghi fisici. Due quartieri, in particolar modo.

Il Vomero e la Pignasecca. Il primo rappresenta, da sempre, uno dei salotti buoni della città. Ed agli occhi dei più piccoli (come il sottoscritto) appariva come uno dei posti più illuminati del capoluogo partenopeo. Oltre che una fucina di bancarelle piene zeppe di giocattoli. Tra i vicoli caratteristici della Pignasecca, invece, i più grandi andavano ad acquistare del pesce pregiato e gli oramai “iconici” capitoni.

Un po’ come testimoniato in alcune scene di numerosi film (epici) dell’epoca. Ricordate “Così Parlò Bellavista” del grande Luciano De Crescenzo? L’albero, invece, veniva addobbato con delle decorazioni che oggi definiremmo “vintage”, ma che ai tempi rallegravano una famiglia intera. Basti pensare alle palline di vetro, o ai fili colorati che circondavano l’albero come una cascata di nuvole.

E cosa dire dell’immancabile poesia da lasciare sotto il piatto dei papà e da enunciare a memoria subito dopo la prima portata? A ripensarci oggi, verrebbe da dire che il vero dettaglio poetico era rappresentato dalla magia delle famiglie riunite allo stesso tavolo(ne). Altro che Social e telefonini. Il Natale a Napoli è anche e soprattutto sinonimo di “tombola”. O, per meglio dire, della tumbulella.

Così come viene denominata da chi risiede all’ombra del Vesuvio. Ogni numero (da 1 a 90), tra l’altro, corrispondeva – allora come oggi – ad un preciso significato simbolico presente nel libro della “Smorfia”. Fatta eccezione per il “10”, naturalmente. Già. Perché dal 1984 in poi, quello è stato il numero di Maradona. Un capitolo a parte lo merita senza ombra di dubbio il Presepe. Da sempre una delle tradizioni rappresentative della terza città d’Italia. Anzi. A dirla tutta, nella Napoli degli Eighties, il presepe era quasi più importante dell’albero.

Ed uno dei dettagli più ottantiani dei presepi partenopei era la presenza della famigerata “cascata”. Realizzata con la carta argentata. La solita genialità dei napoletani, insomma. Ci sarebbero miliardi di aneddoti da raccontare. E tutti conditi dalla bellezza immortale della semplicità. Scrivere del Natale Anni Ottanta, per il sottoscritto, significa ricordare il sorriso gioviale della Nonna ed i suoi racconti sulla guerra. Ripensare agli struffoli (tutt’oggi immancabili), ai “balli” scatenati con i cuginetti sulle note di “Viva La Mamma” di Bennato, al bacio dato al “bambinello” prima che quest’ultimo venisse apposto nella sua culla all’interno della grotta del Presepe (rigorosamente subito dopo lo scoccare della mezzanotte).

Svegliarsi la mattina del 25 e andar subito a vedere se “Babbo Natale” avesse mangiato i biscotti lasciatigli la sera prima. Sembrano essere trascorsi dei secoli ed invece è solo il Natale Anni Ottanta di Napoli. Nostalgia canaglia.

(foto cover Natale a Napoli – Archivio Carbone – Napoly Today)

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