Questa volta vi proponiamo un articolo a quattro mani, un cava versus cavoz, vediamo da che parte state.
Cava: il simpatizzante
Non so se le ragazzine usino ancora chiudersi in camera ad ascoltare canzoni e scrivere sul diario, ma ai tempi era la regola. Fra le canzoni più ascoltate tra uno struggimento e l’altro c’erano quelle di Luca Carboni, che negli anni ’80 con la sua aria un po’ stropicciata da bravo ragazzo ma non fino in fondo e le sue canzoni strappalacrime (da “Farfallina” a “Silvia lo sai”, passando per le Fragole senza amore) occupava pagine e pagine dei suddetti diari.
Sia perché il maschio italiano dell’epoca non poteva mostrare apprezzamento per le canzoni strappalacrime nemmeno volendo, sia perché era artefice del sequestro in camera di tutte quelle ragazze, al’epoca Luca mi stava sulla punta da morire. Recuperò la mia stima nel decennio successivo, abbandonando la fase confidenziale in favore di una più allegra e ironica: erano gli anni di “Ci vuole un fisico bestiale“, “Mare, mare” e “La mia città“. Peccato che dopo di allora Luca non abbia più saputo reinventarsi come, che so, Jovanotti o Vasco, e sia scomparso dall’orizzonte pur senza perdere uno zoccolo duro di ammiratrici e ammiratori (di cui uno lo trovate più sotto) e qualche recensione di album che stazionavano in radio un paio di settimane e poi più.
Fino ad oggi, perché con l’ultimo album in rotazione su tutte le radio nazionali Luca ha invece indiscutibilmente ritrovato la hit, e ha fatto riscoprire a tutti un Carboni che, se all’ascolto è effettivamente lo stesso come scelte melodiche e timbro vocale, altrettanto indiscutibilmente non è più lo stesso nell’aspetto, con i capelli bianchi e gli occhi ancora più pesti che in gioventù. Da una parte mi spiace, a pensare a quanti anni sono passati. Dall’altra, se non altro anche lui avrà finito di sequestrare ragazzine adolescenti… se poi qualche tardona ci tiene a chiudersi in camera ascoltando in lacrime “Luca lo stesso“, beh, me ne farò una ragione.
Cavoz: l’ammiratore incondizionato:
Sono cresciuto e cresco ancora insieme a Luca Carboni, compagno di walkman e km passati in automobile durante le mie nottate da deejay.
Ricordo benissimo il gestore di un locale che non mi permetteva di mettere i dischi di Carboni, secondo lui deprimenti e porta sfiga (per la sfiga forse semplicemente si confondeva con un altro cantante…).
Personalmente ritengo che il paio di hit nazionalpopolari prodotte da Luca nel corso degli anni abbiano messo in secondo piano la sua bravura artistica. Io lo ritengo un vero poeta, che mischia vita personale, amore, speranza e anche una dose (non in quel senso) di malinconia e tristezza.
Un artista che nei primi album riesce a scrivere testi e musiche senza necessità di realizzare un ritornello, come dimostrano canzoni quali “Sarà un uomo“, “Ci stiamo sbagliando” e “Gli autobus di notte“, capolavori sconosciuti da chi l’ha iniziato a seguire solo grazie all’album “Carboni”.
Ma io parlo da fan, il quale non rinnega neppure un album disastroso come “Inno nazionale“. L’ultimo album, invece, fra alti e bassi dimostra che Luca è davvero “sempre lo stesso”, poiché sa mantenere il proprio stile e le sue radici nonostante l’intervento di un mostro sacro come il produttore Canova (Mengoni, Jovanotti, Tiziano Ferro vi bastano?), che se da una parte è garanzia di successo, dall’altra forse cura più la ricerca della hit che non la vena artistica del proprio assistito.
Cavoz