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New York di Lou Reed

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NEW YORK
NEW YORK
È opinione comune che gli anni Ottanta siano stati, per molte icone del rock, una sorta di nemesi, un decennio di passi falsi.

Persino un artista del calibro di Lou Reed, fondatore dei Velvet Underground e autore in solitaria di capolavori come “Transformer” e “Berlin”, sembrava giunto al capolinea della propria ispirazione se dobbiamo giudicare da due album come “New Sensation” e “Mistrial”.

Ma nel 1989 il musicista americano pubblica “New York”, disco in cui la poesia dei bassifondi che lo aveva reso celebre prende la forma di una galleria di ritratti in cui sono l’indignazione e la “pietas” a farla da padrone: basti pensare a brani come “Dirty Boulevard” e “Xmas in February”.

Nella prima canzone il protagonista è Pedro, un ragazzino che vive un’infanzia dickensiana dentro una casa con le finestre senza vetri e i muri fatti di cartone; nella seconda, per un veterano del Vietnam trovare un lavoro è una possibilità remota tanto quanto un Natale nel mese di febbraio.

In generale, “New York” è un album con dei testi dal livello letterario altissimo accompagnati da scarni accompagnamenti musicali che spaziano fra rock, country, jazz e musica d’avanguardia. Una carrellata di ispirazioni diverse che hanno come denominatore comune la Grande Mela e i suoi abitanti meno fortunati, quelli che devono “tenere a bada la paura di aver lasciato la propria anima nella macchina presa a nolo da qualcuno” (“Romeo Had Juliette”).

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