Tornate indietro un momento, alla prima metà degli anni Ottanta. O se non ci siete mai stati, immaginatevi quel periodo: nonostante il Sessantotto e il Settantasette, l’Italia vive ancora sull’onda lunga del Dopoguerra e dell’eleganza vige ancora un’idea impiegatizia, catechistica. In casa metà delle discussioni tra madri e figli vertono sull’imposizione di camicia e maglioncino a V per andare a scuola, e l’altra metà sull’imposizione dei pantaloni di fustagno o di velluto a coste, con cui è impossibile giocare a calcio nell’intervallo.
1985, allora. In quell’Italia con la testa negli anni Cinquanta, passa uno spot che da solo cambia tutte le regole, con il quale fa irruzione in tutti i salotti l’America degli anni Cinquanta: una lavanderia a gettone, un soldato con la bustina in testa, una Studebacker che sfila davanti alla vetrina. Poi nella lavanderia entra un meraviglioso ragazzo in jeans e maglietta, si toglie i Ray-Ban e mentre Marvin Gaye inizia a cantare “I Heard It Through The Grapevine”, il ragazzo si sfila tutto il resto: maglietta, calze e persino i jeans, rimanendo scultoreo in boxer davanti ai sorrisini delle ragazze. Poi si siede con gli altri ad aspettare che i vestiti siano puliti, leggendo il giornale.
Sebbene all’apparenza fosse uno spot “rétro”, fu lui a introdurre la modernità negli anni Ottanta, perlomeno dal punto di vista della comunicazione. In anni di marketing ancora ruspante, fu il colpo di genio assoluto che per oltre un decennio elevò i Levi’s 501 al di sopra di tutti gli altri jeans, e Nick Kamen a campione di bellezza al pari di Tom Cruise, senza sbattersi a far film.
Il buon Nick era infatti un modello, tra l’altro neppure americano, ma inglese; quei 30 secondi di popolarità bastarono alla gran macchina dello star system americano per fiutare il colpaccio, e così Nick venne lanciato di punto in bianco in una carriera da cantante. Solo le ragazzine riconobbero “quello della pubblicità”, mordendosi le labbra; ma anche ai maschi il suo stile pop-romantico un po’ melenso non dispiaceva.
Si partì con “Each Time You Break My Heart” – titolo decisamente troppo lungo perché potessi capirci qualcosa – mandata in rotazione continua da tutte le radio a metà 1986, con il famoso rumore della risacca che all’epoca mi era sembrato un’idea fantascientifica.
Era scritta da Madonna, che avendo notato Nick fu la più lesta a prestargli, le sue melodie, il suo produttore e il suo insegnante di canto, dopo esserselo portato a letto. Buono o cattivo che fosse, il trattamento Madonna funzionò, e Nick entrò dritto dritto nella top 10 di tutta Europa.
Così, mentre si favoleggiava sulla love story tra l’ex modello e la divina Madonna, un video dopo l’altro Nick diventava un modello di eleganza e di stile, ispirandosi a dire il vero all’Elvis degli anni Sessanta: ciuffo domato da tonnellate di gel e camicia bianca che spuntava da una giacca con spalline esagerate. “Loving You Is Sweeter Than Ever” rinsalda il successo dell’album d’esordio “Nick Kamen” (1987), seguito meno di un anno dopo (1988) da “Us”, trainato da “Tell Me” il cui video con la modella Tatjana Patitz formato gigante diventa la sigla di chiusura di Deejay Television, e quindi immediatamente un riferimento per qualunque adolescente italiano sano di mente.
In effetti il successo di Nick in Italia (sempre al numero 1 o numero 2 in classifica) è spropositato rispetto a quello che le sue doti canore e le sue canzoni gli valgono nel resto del mondo, dove eccetto che con il disco d’esordio, raramente entrerà nella top 20. Dopo due anni di silenzio, Nick ci riprova con “Move Until We Fly”, album in un certo senso provocatorio, e un look altrettanto provocatorio: capelli cortissimi e maglione, a segnare il distacco dal modello boy band (un po’ come aveva voluto fare George Michael con Faith!).
“I Promised Myself”, nonostante il titolo troppo corto per gli standard kameniani, funziona ancora; l’album è effettivamente il migliore di Nick, ma il successo non raggiunge quello dei due precedenti e per il bell’inglesino inizia un rapido declino: di fatto dopo il quarto album “Whatever, Whenever”, discreto ma commercialmente un flop, Nick si ritira a vita privata.
E oggi? E oggi magari in pochi canticchiano Loving You eccetera (che di tanto in tanto comunque in radio ci ripassa), ma nessuno può aver dimenticato Marvin Gaye e quel sorriso beffardo nello spot dei 501, che ha consegnato alla storia il successo dei Levi’s in generale. Benedetti persino dai Paninari, e memorabili non solo in quanto primo capo “vintage” della storia, ma perché dopo secoli di attenzione alla robustezza, la praticità, l’eleganza, arrivarono questi jeans slavati (orrore!), pre-consunti al momento dell’acquisto (doppio orrore!!) e con i bottoni al posto della zip (triplo orrore!!!).
Jeans che bisognava pagare di più perché già rovinati, e non tutti i genitori erano pronti ad abbracciare questa rivoluzione culturale degli anni 80 – ben più radicale, per un italiano cresciuto nel Dopoguerra, delle idee di Karletto Marx. Eccola qua, la modernità: i 501 furono indiscutibilmente i primi jeans dell’era moderna, e ispirarono poi le aziende italiane a trasformare definitivamente un capo nato per i bovari in un pezzo di sartoria indossabile anche sotto la giacca, persino alla notte degli Oscar.
Intanto Nick aveva smesso di cantare da un pezzo, e questa infatti è un’altra storia.